Berco, la voce di un operaio: «La prossima crisi sarà l’ultima»
Gli esuberi a Copparo, parla uno dei dipendenti dell’azienda
Copparo Ho conosciuto Berco attraverso i racconti di mio nonno, operaio fino alla fine degli anni ‘80, il quale mi diceva sempre che chiunque era sicuro che in essa avrebbe trovato lavoro; da qualche anno però, causa le varie crisi che si sono susseguite, non è più così. Una fonte di reddito così importante per Copparo sembra si stia esaurendo; il conglomerato tedesco Thyssenkrupp, specializzato nel ramo della siderurgia, è entrato in una crisi profonda causa la concorrenza con la Cina e la decarbonizzazione e conta di licenziare 11mila dipendenti entro il 2030. A essere investiti da tali programmi di eliminazione degli esuberi, a inizio ottobre, sono state le sedi di Copparo e Castelfranco Veneto in provincia di Treviso, a cui sono state spedite 480 lettere di licenziamento all’una e 70 all’altra, senza che i sindacati e gli operai fossero stati informati e fosse stato dato loro l’opportunità di confrontarsi con la dirigenza.
Dopo lo shock e l’incredulità iniziale, il coinvolgimento dei media, gli scioperi, le manifestazioni di protesta, gli incontri in Regione e il sostegno dell’amministrazione di Copparo hanno portato all’apertura di un Tavolo di crisi a Roma tra le parti sociali che ha ottenuto come risultato il congelamento temporaneo di questi licenziamenti. Non è certamente una vittoria, ma per il territorio copparese e per le famiglie degli operai è un sospiro di sollievo.
Come si è arrivati a tutto questo? Il fattore scatenante, come detto prima, è la concorrenza col colosso cinese e un eccesso dell’offerta di acciaio; l’aumento dei costi delle materie prime e i conflitti in corso a livello internazionale hanno peggiorato la situazione influenzando negativamente il mercato delle macchine da terra cingolate (settore in cui Berco era un’eccellenza). A detta di vari operai Berco, inoltre, la dirigenza non ha investito nelle nuove tecnologie per rimanere al passo con i concorrenti.
Pensando a una realtà piccola come il copparese, ci siamo domandati quali potrebbero essere le ripercussioni economiche sul territorio, quale lo scenario più negativo? In primis, l’eventuale perdita di posti di lavoro influenzerebbe direttamente le famiglie e l’economia locale; questo quindi potrebbe portare a una diminuzione della domanda per servizi locali come negozi, ristoranti e altre attività commerciali. Si potrebbe verificare un effetto domino: le aziende che forniscono servizi e beni a Berco potrebbero vedere una riduzione delle commesse, influenzando a loro volta la loro stabilità economica e quella dei loro dipendenti. La situazione di incertezza potrebbe scoraggiare futuri investimenti nel territorio, influenzando negativamente piani di sviluppo a lungo termine. Questo cupo scenario per ora sembra sospeso dagli accordi presi tra le parti a Roma, anche se rimane la scure delle 400 dimissioni volontarie incentivate, ma da tali accordi è emersa la volontà dell’azienda di rimanere come colonna storica del ramo siderurgico in Italia e si è proposta di pensare a una valida ristrutturazione per diventare competitivi sul mercato globale. In relazione a tutto questo, ci è sembrato giusto chiedere a un operaio, dipendente Berco, che ha osservato questi cambiamenti in prima persona. Non riporteremo il suo nome per non rivelarne l’identità.
A fronte delle precedenti crisi che hanno visto dimissioni con buonuscita, c’è stato poi un cambiamento o una ristrutturazione?
«No, c’è stata una diminuzione di personale, una diminuzione di competenza, ma nessuna ristrutturazione che poi portasse benefici, tant’è che questa è già la terza ristrutturazione nel giro di una ventina d’anni».
Una forza di Berco è che è sempre stato un prodotto eccellente. A suo avviso, è ancora così? O cosa è mancato per mantenerlo tale?
«Non è più un prodotto eccellente e non è più un prodotto competitivo dal punto di vista economico. Innanzitutto perché in Cina costa tutto meno, costa meno la manodopera e costano meno i materiali; adesso stanno producendo con macchine nuove, di nuovissima generazione, mentre noi stiamo producendo con macchine degli anni ‘60 (a metà del secolo scorso). Quindi, quello che era il nostro punto di forza, cioè la qualità, è stata raggiunta e probabilmente sarà superata nei prossimi anni se non investiamo in tecnologie nuove».
Prima delle lettere di licenziamento, tenuto presente della reale crisi del mercato siderurgico e metalmeccanico, c’erano mai stati segnali che portassero a pensare a questo risultato?
«Certo. Vedevamo giorno per giorno calare gli ordini di produzione, i volumi di produzione, ed era evidente. Vediamo tutti i giorni le macchine andare in disfacimento, non c’è una vera e propria manutenzione all’interno di Berco, c’è una riparazione; quindi sì, ne avevamo tutti consapevolezza e stavamo grossomodo aspettando ciò che sarebbe successo».
Quindi che futuro si prospetta per Berco, secondo lei?
«Secondo me questa è l’ultima crisi. La prossima sarà quella definitiva».
Samuele Zerbinati
Gabriel Ghirlinzoni
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