L’ha massacrata mentre lei si spogliava
Inquietanti retroscena di Sergio Rubini sull’omicidio e sulle fantasticherie per appagare l’eccitazione non sessuale
di Daniele Predieri
VOGHIERA
Sul suo corpo 23 coltellate e nessuna «ferita da protezione». Il linguaggio del medico legale è tecnico, il significato inquietante: Lenuta Lazar, la giovane rumena uccisa da Sergio Rubini, non ha avuto nemmeno il tempo di difendersi, di alzare le braccia contro quel il coltello che Sergio Rubini brandiva menando fendenti con una violenza cercata, voluta, appagante. Per lui. Dentro il furgone di Rubini, dove doveva vendere il proprio corpo al cliente di turno, Lenuta non si era ancora spogliata: si stava calando i pantaloni all’altezza del ginocchio, quando la «bestia» che vive dentro Rubini l’ha aggredita, accoltellandola per 23 volte, in una successione in crescendo, massacrandola. Dettagli che lo stesso Rubini ha riferito agli inquirenti con una precisione impressionante, dettagli che poi sono stati confermati dalle conclusioni del medico legale Maria Rosa Gaudio.
Rubini, insomma, ha detto la verità, non si è inventato nulla. Sulla sua volontà di uccidere, sul perchè la sera del 2 gennaio sia uscito di casa con un coltello in tasca, cercando una ragazza, una prostituta con cui appagare non la sua eccitazione sessuale, ma qualcos’altro, di ben più grave. Lui stesso ha raccontato di questi suoi pensieri, «fantasticherie» le ha chiamate, riferendo ciò che accadde prima e dopo l’omicidio, in un silenzio innaturale, nella saletta dell’Astanteria dell’ospedale Sant’Anna. E chi era presente a quel primo interrogatorio, con l’assistenza del suo legale e di ufficiali e marescialli dei carabinieri - i segugi che masticano indizi e parole e li trasformano in prove e riscontri per i magistrati - ha ancora i brividi nel ricordare la confessione di Rubini. Quando con freddezza ha ricordato di aver caricato la ragazza davanti all’ufficio postale di Chiesuol del Fosso e di essersi portato nelle strade chiuse del parcheggio della Metro, dove la stessa ragazza gli aveva detto di andar, dove lei andava sempre. E sempre piangendo, Rubini ha ricordato che dopo aver ucciso iniziò ad urlare, gridare, a battersi con pugni alla testa, per scacciare la «bestia», quel demone che era dentro di lui che non riusciva e non poteva fermare, che lo ha spinto a uccidere.
Ancora più agghiacciante è stato il racconto del momento in cui ha gettato la povera ragazza nel canale. Quando, sentendo il tonfo del cadavere ha avuto la consapevolezza che stava cancellando non solo il corpo della ragazza, ma a se stesso - inutilmente, perchè indelebili nella sua testa - le prove di ciò che aveva fatto.
Perchè ora che il caso è risolto, dopo la confessione di Rubini, la ricerca e la scoperta di riscontri da parte dei carabinieri al suo racconto-verità, ora il caso Rubini è solo materia per psichiatri giudiziari. Che dovranno valutare se l’uomo è persona che si possa imputare di omicidio, da poter condannare e tener in carcere per scontare la pena che verrà. Oppure se il suo futuro è quello di un paziente criminale psichiatrico da custodire in una stanzetta di ospedale giudiziario, per le condizioni psichiche in cui si trova. Oggi intanto, in un’altra stanzetta, nel carcere dell’Arginone - e non in tribunale - verrà celebrata davanti al gip Piera Tassoni l’udienza di convalida del fermo di Sergio Rubini. Udienza scontata per via della conferma - ovvia - dell’arresto e poi si deciderà sul luogo della custodia, il carcere o altro. Visto che il difensore di Rubini, Andrea Marzola, chiederà al giudice la custodia in struttura detentiva adeguata, alternativa al carcere. E così, dopo quello di oggi, i prossimi atti, sono più che prevedibili. Primo tra tutti una perizia psichiatrica per valutare le capacità psichiche e di stare in giudizio, di essere processato. Perchè non si può dimenticare che se Sergio Rubini fosse giudicato in un processo come imputato normale, per la gravità del reato, la premeditazione dell’omicidio di Lenuta Lazar, rischia il carcere a vita: l’ergastolo.
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