Come ti mortifico una morte
Il commento del direttore STEFANO SCANSANI
Qual è il tentativo? Mortificare la morte, cioè farle perdere senso, diluirne il sangue nel cavillo giuridico, e continuare a divaricare l’opinione pubblica. Ecco quindi che l’applausometro dei poliziotti del Sap, l’altro ieri, ha riaperto il caso Aldrovandi, senza vergogna, con quel metodo spudorato che prima fa transitare lo scontro nelle coscienze (lacerandole) per infilarlo nelle sedi della Giustizia (svilendole). Questa strategia l’ha confermata il segretario del Sap, Tonelli: «Porre una pietra sopra l’accaduto ci pare una soluzione troppo comoda». Le pietre per lui sarebbero una condanna passata in giudicato per i quattro poliziotti, la deplorazione delle istituzioni, l’evidenza tragica e insostenibile del fatto. Sono consapevole di inoltrarmi nel territorio etico-morale che non può connettersi con il rozzo paragone che Tonelli ha portato: «La morte di chiunque è un evento infausto, ma non necessariamente la colpa deve essere attribuita a qualcuno: migliaia di giovani ogni anno muoiono alla guida dei loro automezzi, ma non per questo la colpa è delle strade». La sua soluzione: «Il giudizio di revisione è un diritto dei nostri colleghi e intendiamo sostenerli su questo percorso». Gli uomini in divisa dovrebbero avere timore di una colpa che sembra essere precipitata nella discarica delle regole. Si chiama apologia di reato, che è appunto il fracasso dell’applauso.