«La fabbrica deve rimanere dov’è»
Ottantotto dipendenti rischiano il posto di lavoro. La metà è in esubero e gli altri dovrebbero essere spostati nel Veronese
DOSSO. Intensa, partecipata ma molto corretta è stata la manifestazione indetta, ieri mattina, dai dipendenti della Lamborghini Calor. I lavoratori hanno voluto dimostrare, in modo palese ed evidente, il loro disappunto contro la decisione del gruppo Ferroli in Italia, attuale proprietaria dello stabilimento, che su 1.209 dipendenti del gruppo ha dichiarato 600 esuberi. Per la Lamborghini Calor la situazione è ancor più pesante perchè su 88 dipendenti la metà è considerata esubero e i restanti 44 dovrebbero essere spostati nello stabilimento di San Bonifacio nel Veronese.
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Lo spettro di perdere il posto di lavoro era evidente sui volti di tutti i manifestanti considerato che l'azienda vuole, entro il prossimo anno, trasferire la produzione e i macchinari a S. Bonifacio. Alle 7,30 è iniziato il presidio dell'ingresso dello stabilimento poi, dalle 8,45, a intervalli regolari i lavoratori di spostavano sulla provinciale per Cento bloccando, ogni volta, il traffico per cinque minuti. Si formavano lunghe code di veicoli ma i conducenti, venendo informati del motivo della protesta, hanno dimostrato molta pazienza e nessuno si è arrabbiato o dato segnali di nervosismo.
«Volutamente - ha spiegato Samuele Lodi della Cgil provinciale - non abbiamo voluto bloccare totalmente il traffico che avrebbe costretto gli organi preposti a chiudere la strada, dirottaando i veicoli su un altro percorso, e nessuno avrebbe visto la nostra protesta. Bloccando la strada ogni volta per solo cinque minuti non abbiamo creato grossi problemi al traffico e, nel contempo, abbiamo distribuito tanti volantini che spiegavano i motivi della nostra lotta». Il presidio si è sciolto verso le 12,30.
«In questa fase - ha detto Sandra Rizzo segretaria Fim-Cisl provinciale, la prima priorità è quella di riuscire a garantire ai lavorati il sostegno di un ammortizzatore sociale. Poi mantenere qui il marchio». Diversi persone hanno portato solidarietà ai dimostranti. «In fabbrica - ricordava Miriam Tartari della Rsu Cisl - la metà dei dipendenti sono donne con figli piccoli e magari con anche qualche anziano da accudire. La proposta di spostarsi nel Veronese crea difficoltà nell'ambito familiare e non solo per le donne».
Emerge anche l'orgoglio di non voler perdere un marchio legato alla storia del territorio. «Il fondatore - afferma Nadia Malaguti della Rsu Cgil, era di queste zone e la sua fabbrica era un fiore all'occhiello. Spostare macchinari e marchio è drammatico. Dovremo lottare per mantenere l'unità produttiva».
Sulla vicenda sono intervenuti i consiglieri regionali Calvano e Zappeterra (Pd) e Fabbri (Lega Nord). I primi due hanno affermato che «vigileranno affinchè l’attenzione sia massima» e giovedì incontreranno i sindacati. Fabbri ha chiesto che la Regione convochi un tavolo istituzionale con proprietari, sindacati enti locali per «scongiurare i licenziamenti ed evitare la chiusura della fabbrica». La Regione ha chiesto la convocazione di un tavolo ministeriale.