Ordine dei medici e veleni Assoluzione per Droghetti
di Daniele Predieri
Il presidente Di Lascio denunciò pressioni su di lui e i figli per non ricandidarsi E dopo la sentenza: «Prendo atto, se ci si aspettava minacce in carte da bollo!»
31 marzo 2017
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Mai assoluzione fu più annunciata di questa, decisa ieri dal giudice Sandra Lepore a conclusione del processo sui “veleni all’Ordine dei medici” di Ferrara, autunno 2014, propagati durante le elezioni dell'Ordine. Assolto «perchè il fatto non sussiste», l’imputato Paolo Droghetti, medico anche lui, come lo è - anche nella veste di presidente Ordine dei medici - chi lo accusava, Bruno Di Lascio. Droghetti era finito sotto processo per presunte pressioni o minacce allusive che lo stesso Di Lascio aveva ritenuto tali, per non ricandidarsi alle elezioni. Le aveva denunciate e la procura poi aveva portato a giudizio Droghetti per "violenza privata". «Credo che la decisione del giudice parli da sola», commentava ieri in modo molto anglosassone, cauto e sobrio il legale di Droghetti, Marco Linguerri, pur avendo “stravinto” il processo. Nessun trionfalismo, dunque, mentre è bene sottolineare che altri strascichi potrebbe nascere da questo pronunciamento di assoluzione. Annunciato e scontato per come il processo si era articolato, con il giudice Lepore che con molta praticità, durante il dibattimento, incalzava le parti dicendo «arriviamo subito al fatto». Con il fatto che l’Ordine dei medici ,costituito parte civile contro Droghetti, si era ritirato in corsa dal processo, intuendo che il “fatto” mancava. Non sussiste. Eppure il fatto c’è, si consuma nel settembre 2014 in un colloquio tra Droghetti e Di Lascio: il quale veniva consigliato, da amico, da Droghetti («lo siamo da 40 anni») a ritirare la ricandidatura dalla presidenza dell'Ordine per la posizione di difficoltà sua e dei suoi figli, Federico, medico, e Tommaso, imprenditore. Per «diverse carte che giravano»: il diploma di specializzazione che il figlio Federico, medico, ottenne a Messina in Medicina Generale (poi decaduto, quindi ricorsi al Tar e altri strascichi amministrativi) e una transazione dell'altro, Tommaso, con l’Agenzia delle entrate dopo un controllo. «Non sapevo se fossero o meno carte compromettenti per i miei figli» ha sempre riferito Di Lascio che aveva percepito quei messaggi con «carattere quasi intimidatorio».
E ieri dopo la sentenza, Di Lascio si limitava a spiegare: «Quello che è stato deciso, va bene, non è mia abitudine commentare: credo di aver dato dimostrazione, sempre, di essere persona equilibrata e rispettosa degli altri, prendo atto e dico che mi ero limitato a segnalare un fatto alla procura che poi aveva adottato le proprie decisioni». Anche lui molto anglosassone e posato, ma non può non chiudere che con una battuta, “velenosa”, per restare in tema: «se poi ci si aspettava minacce in carte da bollo!».
E ieri dopo la sentenza, Di Lascio si limitava a spiegare: «Quello che è stato deciso, va bene, non è mia abitudine commentare: credo di aver dato dimostrazione, sempre, di essere persona equilibrata e rispettosa degli altri, prendo atto e dico che mi ero limitato a segnalare un fatto alla procura che poi aveva adottato le proprie decisioni». Anche lui molto anglosassone e posato, ma non può non chiudere che con una battuta, “velenosa”, per restare in tema: «se poi ci si aspettava minacce in carte da bollo!».