Covid a Ferrara, dopo lutti e dolore ora si vede la luce
Il bilancio della pandemia a Ferrara dopo tre anni dall'inizio della pandemia e senza dimenticare i 1.666 morti
Ferrara Sono passati esattamente 3 anni dalla scoppio della pandemia. Tre anni che hanno sconvolto le vite e le abitudini di tutti e soprattutto provocato tantissimi morti e sofferenze. Il coronavirus e le sue varianti più o meno insidiose a distanza di tempo comincia a fare meno paura, ma la guerra ancora non è definitivamente vinta e come raccomandano i virologi e le autorità sanitarie non bisogna abbassare la guardia anche per tutelare la salute dei più fragili. La situazione rispetto ai due precedenti anniversari è decisamente migliorata, ma ha provocato un’esperienza per molti traumatica che ha lasciato pesanti segni e cicatrici.
Purtroppo il grande dramma di questa pandemia lo vediamo soprattutto dal numero dei morti. In provincia di Ferrara sono stati al momento 1.666 (quota mille era stata superata la vigilia di Natale 2021). Una vera tragedia che ha colpito soprattutto le persone anziane, quella generazione che ha avuto l’infanzia e l’adolescenza rovinata dal più grande dramma del secolo scorso, la seconda guerra mondiale, che si è rimboccata le maniche per costruire un futuro il più possibile di benessere, per dare alle generazioni successive un mondo migliore rispetto a quello che hanno passato nell’età verde della loro vita. È stata una perdita immane, soprattutto perché nella prima fase del virus non hanno avuto il conforto dei loro cari durante gli ultimi giorni di agonia. Ma di covid sono morte anche persone che anagraficamente non erano anziane, a testimonianza che il virus non ha guardato la carta d’identità. I nomi conosciuti di chi ci ha lasciato sono tanti, in questi tre anni molte famiglie delle vittime hanno voluto ricordare i loro cari scomparsi a causa del Covid, lo abbiamo fatto volentieri perché quei morti non sono numeri statistici, ma persone con una storia e un vissuto.
Anche le statistiche confermano che a causa del Covid nel Comune di Ferrara nel 2021 e soprattutto nel 2020, quando ancora non c’erano i vaccini, si sono registrati tassi di mortalità inferiori solo ad alcuni anni di guerra e ai primi anni del Novecento, quando per ragioni sanitarie e sociali la mortalità soprattutto infantile era particolarmente elevata.
Nelle successive ondata del virus, l’età media delle vittime si è abbassata colpendo anche cinquantenni e sessantenni.
La genesi a Ferrara Da un pericolo potenziale, ma lontanissimo, alla psicosi, fino al dramma vero e proprio che ci ha investito in pieno. La genesi del coronavirus in questo triennio di dolore e sofferenze è partita lenta e con un certo distacco, ma poi si è abbattuta come un ciclone, dando qualche speranze nelle stagioni estive per poi ritornare a tormentare con lutti, rinunce e chiusure in autunno e nel lungo inverno 2021. Le notizie arrivate a gennaio dalla Cina nel 2020 sono sembrate all’inizio lontane, un po’ come undici anni prima si era divulgato il virus H1N1 la famosa influenza suina (che tra l’altro provocò 400mila morti in tutto il mondo) ma in Italia non fu così disastrosa, grazie anche al vaccino. Il 31 gennaio si registra il primo caso di quarantena volontaria da parte di una famiglia asiatica residente nelle zone del Delta che ritornava dalla Cina dopo il capodanno. Qualche giorno dopo vengono chiusi in maniera precauzionale alcuni bar ed esercizi pubblici gestiti da cinesi. Comincia ad inizio febbraio a diffondersi una certa psicosi e a rimetterci sono i locali asiatici che vengono disertati per la paura del contagio. All’ospedale vengono fatti anche i primi controlli di persone influenzate, ma tutto sembra procedere nella norma fino alla notte tra il 20 e il 21 febbraio quando vengono scoperti i primi casi di Covid in Italia, i focolai nel Lodigiano e sui Colli Euganei e purtroppo anche le prime vittime italiane.
Il giorno successivo a Ferrara arriva la Juventus di Ronaldo nel match contro la Spal, lo stadio Mazza è pieno come un uovo e qualcuno non nasconde un po’ di timori di contagio. In serata arriva la decisione delll’allora rettore di Unife, Giorgio Zauli, di sospendere le lezioni in presenza. Si arriva a domenica 23 con la decisione di chiudere le scuole e rinviare gli eventi sportivi, niente più spettacoli e funzioni religiose e ci sono già in provincia 35 casi di persone costrette all’isolamento.
Il lockdown È l’inizio di un’escalation, e dopo una tiepida apertura durata una decina di giorni a marzo, arriva quella parola inglese che entra ben presto nel vocabolario di tutti: lockdown. Una sorta di arresti domiciliari senza obbligo di firma, anzi la firma la devi apporre nel documento di autocertificazione nel caso si dovesse compiere un giustificato spostamento. Le città e i paesi diventano deserti, serrata di negozi e luoghi di aggregazione. Una situazione che solo chi aveva vissuto i tragici momenti del coprifuoco bellico aveva provato in precedenza. La prima vittima ferrarese, è un uomo di 85 anni. Il bilancio cresce lentamente rispetto ad altre realtà regionali, ma è sempre in crescita. Il giorno del patrono San Giorgio si arriva a quota 9 morti, triste record che rimarrà tale fino al 1 dicembre 2020 quando le vittime in un solo giorno saranno addirittura 10.
Tranne la parentesi estiva, con l’illusione purtroppo vanificata in autunno che il covid avesse perso la sua carica virale, sono stati lunghi giorni e mesi di sofferenza. Ospedali quasi al collasso con gli operatori sanitari costretti a turni pesanti e sempre con un alto rischio di contagio. Le ripercussioni economiche disastrose del lockdown hanno travolto l’economia locale. Moltissime le attività chiuse che hanno dovuto ricorrere alla cassa integrazione con la perdita di guadagni, dipendenti a rischio lavoro, interi settori in ginocchio. Negli occhi della gente restano ancora impresse in questa prima fase della pandemia, non solo le città e i paesi deserti con nessuno in strada, ma anche i camion militari carichi di bare provenienti dalla Bergamasca, una delle zone che ha pagato maggiormente in termini di vite umane.
La crisi La piccola ripresa del 2019 è andata in fumo e ci vorranno anni per recuperare una situazione fortemente compromessa. Nel frattempo sono arrivati aiuti dalle istituzioni da quelle centrali alle più locali, l’importante è collaborare con lo stesso spirito costruttivo che si è verificato durante un altro dramma, quello del terremoto 2012. Più fatti e meno polemiche, cercando di arginare definitivamente questa tempesta, partita come un’influenzina e che invece ha scardinato tutto, non solo la vita e la salute delle persone.
Dopo l’anno orribile, il 2021 si è presentato ancora pieno di incognite, ma l’inizio della campagna vaccinale, che oltre a dare speranze, ha iniziato a sviluppare gli effetti positivi soprattutto in termini di minori casi gravi. Si conferma la linea virale, potente e micidiale nelle stagioni fredde, lieve e meno letale in quella estiva. Si arriva alle vaccinazioni per classe di età, prima i più anziani e poi a scaglioni di decadi tutti gli altri. Da giugno 2021 possono vaccinarsi anche i minorenni con più di 12 anni, fino al disco verde a fine anno anche per i bambini con più di 5 anni. C’è poi l’aspetto varianti che si sono poi susseguite: dalla Delta molto più pericolosa, fino alla Omicron, meno letale ma contagiosissima, basta pensare che nei primi due mesi del 2022 si sono registrati quasi 50mila casi di covid in provincia di Ferrara, mentre dall’inizio della pandemia fino a dicembre 2021 i casi erano stati 30mila. Con il boom di inizio 2022 già a fine febbraio si era toccato quota a quota 80mila in due anni. Rispetto a un anno fa i casi sono raddoppiati nel senso che ad oggi ci sono stati quasi 160mila casi di Covid in provincia di Ferrara dall’inizio della pandemia, tra cui anche in estate, stagione dove tradizionalmente il virus dava una certa tregua. Questi mesi sono stati caratterizzati anche dalla corsa alla vaccinazione che nel Ferrarese ha raggiunto percentuali altissime oltre il 90% con quasi 900mila dosi totali. L’incentivo a vaccinarsi col green pass, ha incrementate l’afflusso negli hub vaccinali, anche se resta ancora uno zoccolo duro di persone non ancora vaccinate. Dall’estate 2022 le vaccinazioni hanno avuto un piccolo incremento con l’introduzione della quarta dose, ma negli ultimi mesi, vista una minore intensità letale della pandemia, la vaccinazione anticovid è progressivamente diminuita fino a una media di circa 300 dosi a settimana nel 2023.
I nodi della sanità Il covid ha stravolto anche tutto l’organizzazione sanitaria. Purtroppo il virus ha condizionato tutta l’attività medica, con ritardi nelle prestazioni ambulatoriali e chirurgiche. Si sono visti in questi mesi gli operatori sanitari combattere in prima linea, come eroi, le corsie di ospedale come trincee, dove è stato affrontato il virus nel primo anno senza copertura vaccinale. Il 2022 è stato un anno di svolta nella lotta al virus. Molte restrizioni sono state fortunatamente tolte. Siamo tornare a vivere senza più l’obbligo della mascherina (tranne nelle strutture sanitarie) ci siamo quasi sulla possibilità di poter tornare a non aver paura nei contatti con gli altri. Chiusi oltre agli hub anche reparti che erano specificamente indirizzati al trattamento dei pazienti covid. Il 2023 è quindi partito in maniera incoraggiante.
Un bel passo avanti Gli ultimi indicatori sulla pandemia in provincia di Ferrara lasciano ben sperare. La situazione è migliorata su più fronti. L’ultimo bollettino diramato dalla sanità ferrarese parla di 172 nuovi casi in una settimana (una media di 24,5 al giorno), tanti per fare un raffronto lo scorso anni a febbraio si toccavano punte anche di un migliaio di casi di nuovi positivi al giorno. Sono stati tre anni difficili, che hanno messo a dura prova tutti, dai giovani agli anziani. Ci hanno fatto capire meglio come siamo fragili e come la vita, nostra e degli altri, sia un bene prezioso. Una esperienza traumatica che ancora una volta dimostra come sia indispensabile investire sulla sanità, soprattutto in un territorio come il nostro caratterizzato da un’alta percentuale di persone anziane, più bisognose di assistenza.
È la sfida che ci attende nei prossimi mesi, facendo ammenda della pesante lezione impartito da questo virus, che si è dimostrato molto più di un flagello, mettendo a nudo la precarietà dell’esistenza umana.l