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L’intervista

Piero Ferrari «Io, papà Enzo, mamma Lina e l’altra famiglia: la mia vita in un film»

Paola Ducci
Piero Ferrari «Io, papà Enzo, mamma Lina e l’altra famiglia: la mia vita in un film»

Nato da una relazione extraconiugale vissuta normalmente, il figlio del Drake si racconta. «Allora avere figli fuori dalle nozze era illegale Tutti sapevano La Chiesa? Taceva» - «Dopo la morte di un pilota mio padre era provatissimo, diceva: «Basta, dobbiamo smettere»

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MARANELLO A pochi giorni dall’arrivo nelle sale cinematografiche italiane di “Ferrari”, il film già presentato a Venezia 80, Piero Ferrari, figlio del mitico Drake e vice presidente della Rossa di Maranello, si racconta al nostro giornale.


Piero Ferrari si racconta «così come nel film di Michael Mann c’è il racconto di una parte della mia vita…», ci sussurra con un sorriso dolce. Figlio di Enzo Ferrari e di Lina Lardi, con il film chiude un conto con la storia, una parentesi che si era aperta 78 anni fa con la sua nascita in una relazione extraconiugale, di cui si sapeva e si taceva. Suo papà era sposato con Laura Garello, da cui ebbe Dino, morto a soli 24 anni per una distrofia.

Piero Ferrari ci riceve nel suo nuovo ufficio a Maranello. «Questo era l’ufficio di mio padre, l’abbiamo da poco finito di ristrutturare e ho voluto ripristinarlo proprio come era quando c’era lui, con lo stesso stile, la stessa semplicità e austerità, a partire dalla scrivania bianca abbinata al grande tavolo dello stesso colore dove era solito accogliere ospiti e clienti».

Eccolo, il peso della storia, le foto del Drake, per la maggior parte in bianco e nero, che immortalano momenti intimi e famigliari, altri con personaggi noti e illustri. «Ma la mia preferita è questa», e la indica: è l’unica in cui Enzo è ritratto solo, mentre è intento a lavorare, alla stessa scrivania sulla quale ora siede lui. Alle pareti quadri che raccontano momenti memorabili: Daytona ’67, le Mille Miglia di Taruffi, Jacky Ickx con la prima Ferrari con alettone a Rouen, Merzario all’ultima “Targa Florio”.


Il film di Mann si apre con l’immagine di suo padre Enzo, interpretato da Adam Driver che, alla guida della sua auto, se ne va dalla casa di Castelvetro dove lei viveva con la mamma, Lina Lardi, forse proprio mentre faceva ritorno in questo ufficio dopo aver pranzato con voi, mostrando subito agli spettatori un momento particolarmente intimo della vostra vita. Quale è stata la genesi di questo film?

«Michael Mann venne a Maranello la prima volta per parlarmi del film insieme a Sydney Pollack nel 1995. Il progetto era nato dai due registi ma non c’era ancora un vero e proprio screenplay. Ricordo che Michael Mann mi disse: “Non appena pronto te lo farò leggere per approvazione”. Il progetto si è poi sviluppato molti anni dopo quando un giorno mi chiamò e mi disse: “Sono pronto: ho tutto, budget e screenplay definitivo, te lo mando”. Da lì il film e tanti incontri con Michael per perfezionare il tutto anche durante le riprese».

Quale fu la sua prima impressione nel leggere la storia della sua famiglia?

«Emozionante (sorride)… l’unica cosa che feci fu quella di apportare delle correzioni a fatti storici narrati che risultavano imprecisi. Nel mondo ci sono persone così appassionate della Ferrari che sanno tutto nei minimi particolari: non possiamo permetterci di sbagliare. Per esempio l’episodio della morte del pilota Castellotti che morì a Modena era stato confuso con la morte di Musso che invece morì in Francia».

Per quanto riguarda il racconto delle sue vicende intime e personali lei ci si ritrova?

«Si. Certo, stiamo parlando di un film e tutto non può essere perfettamente fedele alla vita reale, ma l’immagine che Mann ha saputo trasmettere di me, di mia madre, della nostra vita in quegli anni nella casa a Castelvetro e del bel rapporto che avevamo con il papà è assolutamente veritiera. Mio padre lo vedevo tutti i giorni. Lui chiudeva la porta di questo ufficio e veniva da noi a pranzo, quasi ogni giorno. Poi ricordo anche di serate molto belle passate con la mamma e il papà nelle trattorie della zona. Al papà piaceva molto portarci fuori a cena e cambiare trattoria spesso per degustare i cibi modenesi. Mia madre, con il suo equilibrio, la sua tranquillità, la sua discrezione ma soprattutto l’amore che ha sempre dimostrato per lui gli regalava quella serenità di cui probabilmente aveva tanto bisogno».



Ma lei come viveva questa consuetudine famigliare decisamente “anomala” per l’Italia del Dopoguerra, in cui divorzio e separazione erano parole bandite?

«In realtà per me era tutto normale ed estremamente naturale. Sono cresciuto così e quella era la mia normalità. Poi certo, una volta ragazzino ho compreso la situazione, ma non ho mai patito particolarmente il fatto che mio padre non vivesse con noi. Da piccolo sapevo che il mio papà era un uomo molto impegnato che lavorava tanto, talvolta con gente importante. Quante volte a pranzo o a cena da noi c’erano personalità del calibro del principe Bernardo D’Olanda, marito della regina d’Olanda per fare un esempio... La mamma del resto cucinava molto bene e il papà li portava volentieri da noi».

Una brava cuoca: una ricetta su tutte?

«I maccheroncini prosciutto e besciamella. Erano buonissimi, piacevano molto anche al papà. Ricordo che poco tempo fa chiacchierando con lo chef Massimo Bottura gli raccontai la ricetta e lui decise di inserirli nel menù del Cavallino come “Maccheroncini della Lina”».



Le è piaciuta l’interpretazione di suo padre fatta da Adam Driver?

«Sì, è risultata estremamente credibile. Driver, prima e durante le riprese, venne più volte a casa mia a chiedermi particolari sulla vita del papà, sui suoi modi di fare, di muoversi, di parlare, sulle sue espressioni e reazioni di fronte a situazioni diverse. “Fammi vedere come camminava”, mi chiedeva per esempio e allora io mi alzavo, talvolta anche un po’ imbarazzato (ride di gusto), e cercavo di riprodurre quel modo di muoversi unico di papà».

A Venezia una critica che è stata mossa al film è stata quella di aver utilizzato il cosiddetto “anglo-italiano”: un inglese dal forte accento italiano che prevedeva anche alcune parole non tradotte come “signora” o “commendatore”.

«Personalmente a me la versione in lingua originale è piaciuta molto. Non ho ancora visto la versione doppiata in italiano, non riesco nemmeno ad immaginarmela e forse mi preoccupa un po’. Non so che scelta di linguaggio sia stata fatta: l’utilizzo dell’accento emiliano oppure l’italiano senza cadenza. Sarà che a me piace guardare i film in lingua originale… mi auguro che non deluda, sarebbe un vero peccato».



Di grande impatto sono gli incidenti raccontati nella pellicola, in particolare quello di Bedizzole. Lei si ricorda di quei tragici momenti? Come reagiva suo padre?

«Si, li ricordo bene e ricordo mio padre e il suo stato d’animo profondamente provato. Papà dopo un incidente mortale la domenica veniva a casa nostra e diceva “basta, non possiamo andare avanti così”… Poi arrivava lunedì e tornava in ufficio dove riusciva a ritrovare la forza di andare avanti probabilmente incrociando lo sguardo dei suoi collaboratori, dei meccanici e di tutte le persone che lavoravano in Ferrari per lui che gli chiedevano “e adesso cosa facciamo?”. Così lui rispondeva che qualcosa si doveva fare e allora con coraggio e determinazione si andava avanti».

Nella sua carriera in Ferrari le è capitato di vivere tragedie simili?

«Si, con l’incidente del pilota Lorenzo Bandini, a Montecarlo. Bandini morì dopo due giorni di agonia: il suo corpo era arso nell’auto. Ero diventato molto amico di Lorenzo e la sua morte fu un dolore quasi insopportabile. Fu in quel momento che capii il motivo per cui mio padre mi diceva sempre: “Non diventare amico dei piloti perché poi o muoiono o ci lasciano e vanno a correre per gli avversari”. Ma è inutile, ai piloti ci si affeziona, gli si vuole bene… tanto».



La scelta di fare a Maranello e a Modena l’anteprima nazionale del film è stata sua?

«In realtà è stata un’attenzione di Michael Mann che io ho apprezzato moltissimo. Del resto oltre ad amare Modena ama anche la Ferrari (sorride orgoglioso). E’ un nostro grande cliente, possiede più di una delle nostre macchine».

Una curiosità: si sente più modenese o più italiano?

«Non è facile rispondere. Quando vado all’estero e dico che sono di Maranello devo sempre spiegare dov’è e quindi ovviamente mi sento forse più italiano. Ma di certo non me ne andrei mai via da qui. Sono nato a Castelvetro, tra le vigne e uno dei ricordi più belli e indelebili che ho di mia madre riguarda la vendemmia di settembre. Mi metteva allegria vederla portare la nostra uva nelle cantine del paese e pensare che presto si sarebbe trasformata in Lambrusco. Oggi con la mia famiglia, dopo aver vissuto in città, sono tornato a vivere a Castelvetro e da lì non mi sposterei più».



Quindi se le chiedo Grasparossa o Sorbara, direi che sulla scelta del lambrusco non ha dubbi…

«Grasparossa ovviamente, ma ammetto che d’estate apprezzo molto anche il Sorbara».

Quando lei racconta la sua infanzia e fanciullezza si è quasi sorpresi nell’apprendere che a quel tempo la sua situazione famigliare fu vissuta di fatto con così grande tranquillità.

«Si, ma anche con grande riservatezza. Nel film è la prima volta che si racconta la storia della mia famiglia. Allora era illegale avere dei figli fuori dal matrimonio. Non c’era il divorzio, erano tempi molto difficili da quel punto di vista».

La Chiesa sapeva, immagino. Come reagì?

«Stava in silenzio. Ho ricevuto tutti i sacramenti, andavo a messa però (non continua)…».

Come avrebbero reagito i suoi genitori oggi alla visione di questo film? Forse non sarebbe mai uscito?

«Non saprei davvero dire. I tempi però sono così cambiati che probabilmente anche loro, essendo persone di grande intelligenza, si sarebbero adattati e sentiti diversi. Oggi in Italia il 75% delle coppie che si sposano poi divorziano. E’ incredibile come in così pochi anni sia cambiato il mondo. Mia madre era molto riservata e schiva, non amava mettersi in mostra però non credo che avrebbe impedito l’uscita del film. Per quanto riguarda mio papà, beh, diciamo che a lui piaceva che le cose venissero raccontate come piaceva e diceva lui, probabilmente non ne avrebbe impedito l’uscita ma non sarebbero mancati nemmeno i suoi tipici commenti taglienti (ride)».

Nel racconto di Mann ben presente, come un’ombra, c’è anche la figura di suo fratello Dino. Lei l’ha mai conosciuto?

«Sapevo che c’era ma io non l’ho mai né visto né conosciuto. La prima volta che mio padre me ne parlò fu quando morì mia nonna nel 1965 e andai con lui a casa sua. Lui mi diede una foto di Dino e mi disse “questa tienila tu, è tuo fratello”. E io la presi e la conservai».



E Laura Garello, la moglie di suo padre, l’ha mai conosciuta?

«No, la incontrai solo il giorno del funerale della nonna, nella cappella del cimitero della tomba di famiglia. Ci guardammo, poi ce ne andammo in direzioni opposte».

Lei è uno degli uomini più ricchi d’Italia. Oggi la capitalizzazione della sola Ferrari vale più di quella dell’intera Stellantis.

«Quando nel 1969 mio padre vendette il 50% della Ferrari alla Fiat, a me diede il 10% e lui si tenne il 40%. Personalmente non ho fatto altro che offrire il mio lavoro e il mio contributo e così continuerò a fare fino a che potrò (risponde schivo). Posso garantire che non abbiamo fatto nessun tipo di speculazione. Gli investitori hanno grandi aspettative su di noi. Io so solo che lascerò tutto ai miei amati nipoti. L’anno scorso ho costituito un trust dove ho convogliato tutti i beni di famiglia, comprese le azioni Ferrari».

Un obiettivo per i prossimi anni?

«Capire come sarà il futuro dell’automobile in generale. Non credo davvero che potrà essere deciso da una legge europea calata dall’alto. Il futuro dipende dalle tecnologie disponibili, possibili e che abbiano un senso anche economicamente. Il motore endotermico? Certo che sopravviverà, per la semplice ragione che tutte le transizioni avvenute nella storia non si sono fatte in pochi anni. Tra l’altro oggi i motori termici della Formula 1 sono i più efficienti mai costruiti. Se li confrontiamo con i motori aspirati precedenti, c’è un risparmio del 30% di carburante, nonostante l’aumento della potenza».

Una domanda da tifosa: ma perché la Ferrari non vince più?

«Oggi vincere è molto complicato. I nuovi regolamenti entrati in vigore negli ultimi due anni hanno avuto forti impatti sulla competizione e hanno portato a una convergenza delle prestazioni di tutti i partecipanti. Si pensi per esempio che le prime dieci autovetture sulla linea di partenza hanno tempi di stacco tra loro che rientrano nel secondo. Nei Gran Premi ormai non esistono più autovetture doppiate. La competizione allora si svolge a colpi di centesimi di secondo, Le macchine sono talmente vicine che basta un soffio per vincere un Gp o perderlo anche di dieci posizioni. Ma sono molto fiducioso nel futuro, Ferrari continuerà a dire la sua su tutti i circuiti».

Paola Ducci

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IL FILM DI MANN CON UN CAST DI ATTORI DA OSCAR

Enzo e il 1957, il bivio della sua esistenza Amore, morte e motori del Mito emiliano

Girato in Italia e per la maggior parte a Modena il film "Ferrari" per la regia di Michael Mann è ambientato nel 1957 quando il patron della Rossa di Maranello — nel prologo lo vediamo pilota in bianco e nero — vive una crisi personale e professionale. Enzo Ferrari (Adam Driver), ex pilota e costruttore delle auto più famose al mondo, si trova infatti ad un bivio della sua esistenza. L’azienda che dieci anni prima aveva creato dal nulla con la moglie Laura (Penélope Cruz) rischia il fallimento e anche il loro matrimonio è sempre più tempestoso, dopo la morte del loro unico erede Dino a soli 24 anni per la distrofia muscolare. Ad aggiungersi alla crisi coniugale anche la scoperta dell’esistenza di Piero, il figlio nato dalla relazione del Drake con Lina Lardi (Shailene Woodley). Quell’anno i piloti di Enzo Ferrari si lanciano in una gara che attraversa tutta la penisola: la gloriosa Mille Miglia. “Ferrari” racconta allora l’affascinante quanto spietato mondo delle corse automobilistiche degli anni Cinquanta, in cui non mancheranno incidenti e tragedie, ma rivela anche gli aspetti più intimi e personali di uomo diventato una leggenda senza tempo e un’icona mondiale. Il film è stato presentato in anteprima Italiana ma in lingua originale alla Mostra del cinema di Venezia e ora sarà per una settimana in anteprima nazionale a Maranello e a Modena nella versione doppiata in italiano.

ANTEPRIMA A MARANELLO E A MODENA  DAL 7 DICEMBRE
Partirà da Maranello e Modena, proprio dove tutto è cominciato, la corsa del “Ferrari” di Michael Mann. Il film sarà infatti presentato in anteprima dal 7 (serata già sold-out) al 13 dicembre a Maranello all'Auditorium Enzo Ferrari (posti prenotabili sul circuito Viva Tickets), al cinema Victoria e nella multisala Raffaello di Modena, anticipando l’uscita nazionale del 14 dicembre. Alla proiezione della prima serata di Maranello ha confermato la sua presenza anche Piero Ferrari, figlio del Drake e vice presidente della Ferrari. La nuova pellicola del regista quattro volte candidato all’Oscar vedrà in pole position i luoghi iconici modenesi di Enzo Ferrari, dove il film è stato girato. Il candidato all’Oscar Adam Driver è Enzo Ferrari; accanto a lui il premio Oscar Penélope Cruz nel ruolo della moglie Laura, Shailene Woodley in quello di Lina Lardi, Patrick Dempsey e Jack O’Connell nei panni rispettivamente dei piloti Piero Taruffi e Peter Collins. Nel cast anche Sarah Gadon (Linda Christian) e Gabriel Leone, che interpreta il giovane e ambizioso pilota Fon De Portago. Prodotto da Stx Entertainment, “Ferrari” è un’esclusiva per l’Italia Leone Film Group in collaborazione con Rai Cinema e uscirà nelle sale italiane il 14 dicembre con 01 Distribution mentre per Natale sarà nelle sale anche negli Stati Uniti.


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