Tumori, svolta a Ferrara col test del sangue
L’ospedale Sant’Anna ha iniziato ad impiegarlo sui pazienti con neoplasia polmonare. Cona è hub per il programma. Il professor Negrini: «Follow up e terapie più efficaci»
Ferrara Da qualche anno la ricerca scientifica ha messo a disposizione dei medici una tecnica che consente di ricercare gli "indizi" della presenza di una lesione tumorale con un semplice test del sangue. La "biopsia liquida" non rappresenta più una semplice prospettiva della medicina: oggi affianca, tra le indagini cliniche, la diagnostica per immagini (Tac, Risonanza magnetica, Pet) e la biopsia su tessuto, cioè il prelevamento di materiale biologico da un organo. Il test ricerca frammenti di DNA mutato nel circolo ematico del paziente, in pratica la carta d’identità del tumore. Lo scorso dicembre l’impiego di questa tecnica a Ferrara ha ricevuto l’ok dalla Regione e l’azienda ospedaliera ha dato il via libera per la sua applicazione sui pazienti oncologici con tumore polmonare (l’Oncologia del Sant’Anna è diretta dal professor Antonio Frassoldati). L’ospedale è hub, cioè centro di riferimento in Emilia Romagna per questo sistema diagnostico. «La biopsia liquida è uno strumento sicuro e agile, può infatti essere ripetuta più volte nel tempo mentre quella eseguita su tessuto non consente analisi così frequenti - spiega Massimo Negrini, professore ordinario di Genetica medica dell’Università di Ferrara e responsabile del programma di Biologia molecolare del Sant’Anna - Ma la sua utilità non si limita all’individuazione dei marcatori del tumore: dà informazioni sulla crescita della lesione neoplastica o sulla sua riduzione, aiuta l’oncologo a capire se una terapia è efficace (misurando ad esempio concentrazione dei frammenti di DNA alterato nel sangue), può individuare la presenza di tessuto tumorale diverso da quello che è stato rimosso una recidiva».
La biopsia liquida ricerca i marcatori genici, cioè i segmenti del DNA delle cellule che hanno subìto le trasformazioni maligne. In questo modo apre la strada all’impiego di farmaci a "bersaglio molecolare": il principio attivo va cioè a colpire direttamente le cellule mutate in modo da massimizzare gli effetti sul tumore e ridurre il danno generale per il paziente. Il DNA contiene l’informazione genetica per codificare proteine indispensabili per la vita e per lo sviluppo della cellula. «Se queste proteine introducono processi dannosi nella cellula perché agiscono in modo sbagliato, si può formare tessuto tumorale - precisa Negrini - Le cellule possono poi rilasciare nel sangue tracce genetiche della loro presenza. La biopsia liquida va a cercare proprio quei marcatori. È in grado di riconoscerli e di dare indicazioni sulla terapia più efficace nel caso che uno o più farmaci siano già disponibili per quel tipo di tumore. L’industria farmaceutica comunque ricerca e testa continuamente nuove sostanze e composti in grado di attaccare le cellule mutate». Per un paziente i vantaggi sono molteplici.Tra questi c’è anche la possibilità di essere assistiti dopo l’eradicazione del tumore con un monitoraggio periodico per scovare nuove mutazioni o la formazione di altre lesioni neoplastiche. «La biopsia liquida, dal 2017, è stato un progetto finanziato dal ministero della Salute su pazienti affetti da tumore polmonare - conclude Negrini - Ora è stata completata anche la fase "traslazionale", cioè la ricerca delle modalità con cui applicare i risultati della ricerca all’attività clinica: il test sarà quindi eseguito direttamente sui pazienti oncologici. La biopsia liquida anticipa il riscontro strumentale mediamente di circa tre mesi. Le informazioni estratte dalle analisi sono utili per individuare una "terapia di precisione", il test è molto sensibile. Inoltre può essere utilizzato anche in tutti i casi in cui il tessuto da prelevare non è facilmente raggiungibile. L’intenzione - oggi - è di estendere questa metodologia anche su altri tipi di tumore».
Gi.Ca.