Argenta, il tir pieno di solidarietà
Gli argentani Lino Dal Monte e Paolo Bottoni nella missione di Aiutiamoli a Vivere Verso l’Ucraina con medicinali, alimenti e vestiti: così si combatte contro la guerra
Argenta Gli argentani Lino Dal Monte e Paolo Bottoni hanno fatto parte della 16ª missione organizzata dalla Fondazione Aiutiamoli a Vivere nelle zone di guerra in Ucraina. Il tir partito il 23 febbraio ha portato 16mila razioni di cibi autoriscaldanti, medicinali, abbigliamento pesante, pannoloni, carrozzine, deambulatori. Il tempo di tornare a casa che gli stessi volontari stanno preparando la prossima, «programmata per la fine del mese di aprile – annuncia Dal Monte – quando forniremo un tir completo di razioni pasto pari a un valore di circa 130mila euro».
Come detto partito il 23 febbraio, il gruppo era guidato dal presidente nazionale Fabrizio Pacifici con a fianco i due argentani e altri soci della Fondazione, fra questi anche Alberto Natin, sindaco di Campagna Lupia (Ve) e Stefano, un imprenditore di Orvieto, partito da Ciampino per l’aeroporto di Iasi in Romania.
Mercoledì i “nostri” sono rientrati ad Argenta e hanno raccontato passo dopo passo questa missione umanitaria, per portare di persona i beni di necessità. «Ad attenderci – racconta Paolo – c’era il frate agricoltore padre Giorgio, che ci ha condotti a Roman, dove abbiamo trascorso la notte ospiti nel convento delle Suore Verbite. Il giorno dopo abbiamo visitato l’azienda agricola condotta da padre Giorgio al quale doniamo il trattore agricolo pagato dalla Fondazione».
La spedizione, dopo un dialogo costruttivo sull’agricoltura, visita le strutture scolastiche accompagnate da padre Luciano «soprannominato – aggiunge Lino –, “il Frate volante”». Giornalmente seguono i corsi scolastici 50 minori di etnia rom, gli stessi che usufruiscono di trasporto, fornitura materiale scolastico, mensa, attività ludica e quando necessario anche beni personali». Ed è qui che il gruppo di italiani visita il magazzino dove vengono stivati i beni umanitari inviati dalla fondazione e poi vengono caricati sui microbus e portati nelle varie zone dell’Ucraina. «Questi trasporti – prosegue Bottoni – sono molto difficili e pericolosi perché vengono effettuati personalmente dai frati e da volontari nei territori di guerra in Ucraina». «Sotto la direzione di padre Lucian – prosegue Lino – stiviamo un carico di beni che l’indomani recapiteremo a Boryspil, cittadina in Ucraina situata a 54 km a sud-ovest di Kiev, dove c’è l’aeroporto». Cena e a nanna perché il giorno dopo, domenica 25, «sveglia ore 3.30, messa domenicale, rapida colazione e partenza con due bus perché ci aspettano 767 km. È buio – racconta Paolo – la strada è tortuosa, stretta, sconnessa, con traffico molto indisciplinato. Superiamo la dogana di Siret e siamo in Ucraina, direzione Kiev. Villaggi con degrado, i posti di blocco che troviamo per fortuna riguardano il transito in uscita, così non veniamo fermati. Soste poche, rifornimento, funzioni fisiologiche e via». «All’orizzonte – dice Lino – intravediamo le luci di Kiev, mancano 100 km. Attraversiamo Kiev e tutto apparentemente è normale e arriviamo a Boryspil dopo 12 ore e mezza». Non è finita: c’è da scaricare nel magazzino delle suore missionarie che salutano affettuosamente gli italiani. «In pochi minuti tutti assieme – spiega Paolo – stiviamo il carico che sarà successivamente portato dal frate e dalle suore a sud e a est dove si muore e si soffre per questa assurda e inspiegabile guerra fratricida che porta distruzioni, sconvolgimenti e che in futuro creerà ulteriori rancori». Cena e subito a letto. Ed è qui che padre Nicola rappresenta come si svolge e si vive questa “strana” guerra. «Sul campo avviene con ferocia e con azioni criminali – è il racconto di Lino – a sud e a est, mentre il resto del paese è sottoposto ad attacchi missilistici giornalieri come accaduto alcune ore prima del nostro arrivo, in gran parte questi missili vengono intercettati e distrutti. La vita sembra continuare normalmente, invece è un continuo logorio psicologico, morale, economico e sociale. Con sentito coinvolgimento il frate ci narra l’atrocità della guerra, sporca e crudele. Racconta di episodi riguardanti i suoi parrocchiani in prima linea rientrati nelle retrovie segnati duramente nella psiche e nel corpo, degli sfollati che sognano di potere rientrare nelle loro case ma senza sapere come e quando. Racconta il dolore delle madri e dei padri, le sofferenze dei minori. Con estremo pudore racconta l’impegno di frate e di uomo ucraino per salvaguardare la sua patria e aggiunge l’Europa tutta. Preso dalla foga ha detto: «Noi non comprendevamo cosa stava accadendo e chi ne avesse le colpe». Il 26 febbraio il gruppo parte per Uzhorod: 845 km e quasi 12 ore di viaggio. Sono ospiti della deputata regionale Eva Yakusceva: cena e a letto. Il giorno dopo si svolge l’incontro istituzionale con le autorità e il presidente Pacifici illustra all’assemblea i vari progetti: sanità, agricoltura, accoglienza e assistenza minori e fornitura aiuti umanitari. Il grazie è generale. Nel pomeriggio ripartono per Roman, 497 km con oltre 8 ore di viaggio. Incontrano vari posti di blocco che controllano in uscita che nessun uomo atto alle armi possa lasciare il territorio. «Alla parola “Italia” sorridono – chiude Paolo – e salutano. Qualche lungaggine alla frontiera rumena e Fabrizio fa in modo che si possa passare. All’1.30 arriviamo sfiniti a Roman: a letto». Missione compiuta: missione di speranza, missione di cooperazione, missione di fraternità.