La Nuova Ferrara

Ferrara

Il caso

Viaggio dalla Nigeria al Grattacielo di Ferrara: schiava a 15 anni

Daniele Oppo
Viaggio dalla Nigeria al Grattacielo di Ferrara: schiava a 15 anni

Il deserto, la prostituzione: le motivazioni della condanna per l’aguzzina di una ragazzina

3 MINUTI DI LETTURA





Ferrara «Il lavoro che dovevo venire a fare non mi era stato detto. Facevi un lavoro normale come altri ragazzi della tua età e andavi a scuola».

Dalla Nigeria , dalla povertà della periferia di Benin City, a un appartamento del Grattacielo di Ferrara. Passando per il Niger, per la Libia con la sua violenza e il suo deserto, dove i fantasmi ti camminano accanto. Approdando poi in una piazzola in via Bologna, dove, a 15 anni, svestita e infreddolita, arrivano i clienti italiani a chiederti un rapporto sessuale: 20-30 euro, magari 50 o 70 se accetti di farlo senza preservativo. Ecco il lavoro normale, ecco la scuola che ha trovato una giovane ragazza nigeriana, oggi maggiorenne e con una vita che sembra essersi raddrizzata anche grazie alla sua forza e determinazione, ma che al tempo, nel 2017, aveva appena 15 anni ed era una schiava nel mondo che chiamiamo civilizzato.

Fa venire i brividi il racconto che emerge dalle motivazioni della sentenza con la quale il tribunale di Ferrara lo scorso novembre ha condannato una sfruttatrice - Angela Favour Osazuwa - a 13 anni di reclusione per tratta, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione minorile, nonché a risarcire il danno: 200mila euro. Motivazioni che ripercorrono la storia drammatica della ragazza, parte civile (assistita in giudizio dall’avvocato Gianluca Tencati), facendo perno sulla complessa indagine eseguita dalla squadra mobile di Ferrara, coordinata dal procuratore della Dda di Bologna Roberto Ceroni, lo stesso magistrato che ha portato avanti il processo alla mafia nigeriana a Ferrara.

Colpisce la descrizione del viaggio: l’accordo preso dal padre (che ha tentato anche di “proteggere” l’aguzzina, avvisandola dei controlli avviati dall’Italia), per farla venire in Italia, lavorare e poter mandare i soldi a casa, in modo da poter far studiare i quattro fratellini. Strazia, il racconto della traversata del deserto libico, dove i trafficanti non si fermano se qualcuno cade dal furgone sulla sabbia, dove gli aguzzini ti rubano tutto, anche la verginità: «È stato molto pericoloso, specialmente il deserto, che lì devi essere veramente coraggiosa (...) vedendo le cose che non avresti mai immaginato di vedere nella realtà, vedendo i fantasmi, le persone che sono morte, camminando a fianco a te, non pensavo di vederli in realtà», ha raccontato lei nella sua testimonianza. Poi il viaggio in mare, fino alle nostre coste, a bordo di un gommone ridicolo e pronto a rompersi. Tutto organizzato dall’aguzzina (a sua volta vittima di tratta, poi entrata nel sistema), «secondo sperimentate modalità esecutive», con il solito rito magico-religioso a sigillare un debito che da 20mila euro, con un controllo totale lungo tutto il viaggio e ovviamente a Ferrara, dove l’ha anche picchiata perché lei, adolescente illusa, si era innamorata di un coetaneo connazionale e si era permessa di avere contatti con lui, anziché con i soli clienti. Poi la doppia svolta. Il controllo al Centro per l’immigrazione, dove un’impiegata ha capito subito che quella ragazzina non aveva 20 anni come riportava invece il documento presentato e l’ha affidata ai servizi sociali. E l’editto dell’Oba Eware II, autorità religiosa massima del popolo Edo che ha reso nulli i riti che vincolano le vittime di tratta agli sfruttatori. Due passi fondamentali per avviare un cammino di liberazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA