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La storia

Quando a Ostellato c’era lo zuccherificio: operai, dialetto e poi tutto finì

Nicola Vallese
Quando a Ostellato c’era lo zuccherificio: operai, dialetto e poi tutto finì

“L’ultima stagione”, il romanzo d’esordio di Andrea Bazzanini

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Massa Fiscaglia Potrebbe sembrare una storia semplice quella ambientata nello zuccherificio di Ostellato. Ma in realtà sono diverse le dinamiche in gioco nel romanzo di Andrea Bazzanini "L’ultima stagione. Un racconto operaio" (Oligo editore), classe 1980, originario di Massa Fiscaglia che vive attualmente in Lussemburgo. Si racconta da una parte una realtà che non c’è più, quella dello stabilimento che ebbe una vita alquanto travagliata, unita alle vicende umane degli operai, gli stagionali che di anno in anno speravano di ricevere la chiamata che avrebbe significato sbarcare il lunario o pagarsi gli studi. «È una storia inventata - spiega l’autore - che si svolge in un contesto vero e dalle coordinate anche piuttosto precise: lo zuccherificio di Ostellato all’inizio degli anni Duemila». Le pagine scorrono via mano a mano che si vengono a conoscere le storie, le preoccupazioni, la vita del protagonista "Mulo" (storpiatura di Molinari) ma anche dei vari comprimari: il Cinés, Mansell, Goghèn, Aurelio. Tutti soprannomi dettati da un certo tratto caratteristico che li rendono facilmente riconoscibili e a cui non è difficile affezionarsi. «Sono tutti miei "scarrafoni" - spiega Bazzanini -. E forse il vero protagonista è proprio lo zuccherificio nel suo insieme. È un po’ come per gli apicoltori che considerano l’alveare il vero organismo e le api, i fuchi e la regina le parti che lo compongono». Il lettore, che osserva dall’alto questo brulicare, non può non fare un parallelismo tra i fatti raccontati e il mondo di oggi: l’incertezza del lavoro, le notizie che si susseguono impazzite senza che vi sia una fonte certa a cui attingere, il futuro che diviene sempre più fosco. «La storia è raccontata dal punto di vista di un lavoratore stagionale, il primo a pagare quando è il momento di ridurre i costi - prosegue Bazzanini -. Ma lo stravolgimento era generale. Erano i primi anni della globalizzazione, dell’euro, di internet. La stagione precedente stava finendo per tutti. Poi c’è chi è caduto in piedi, chi ci ha guadagnato, chi non ce l’ha fatta, chi se ne è andato. Anche per i personaggi del libro è stato così». Per rendere protagonisti ed ambientazione credibili, l’autore non ha escluso le espressioni tipiche del posto, quasi completamente sparite: «Rileggo spesso Gianni Celati e Paolo Nori. Autori divertenti e profondi che usano una lingua all’apparenza semplice e molto vicina al parlato emiliano. Mi è familiare non solo nella cadenza, ma anche nella sensibilità; perché credo che dalle nostre parti, appena sentiamo alzare un po’ il tono, siamo subito pronti a dire "ma parla come mangi" o, nel caso dei libri, "ma scrivi come parli". Per quanto riguarda la parte di provincia di cui si parla nel libro, moltissimo è cambiato. Se allora era autunno, adesso è pieno inverno. E il dialetto è quasi del tutto scomparso».