Peste suina, anche Parma nella zona rossa: trema il cuore della Food Valley
Export a rischio per il prosciutto e i salumi, il Canada ha già dato lo stop
Parma Il Canada è stato il primo a dire stop: non vogliamo più i prosciutti di Parma. La peste suina insidia il cuore della Food Valley. C’è una preoccupazione crescente in Emilia-Romagna per l’epidemia che si sta diffondendo da anni in Europa e in Italia. Nessun rischio di contagio per l’uomo e nessuna controindicazione sanitaria al consumo, ma si temono le ripercussioni economiche di un probabile blocco delle esportazioni di prosciutto di Parma e salumi.
È stato infatti pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Ue il regolamento di esecuzione 1171/2024, a seguito del ritrovamento di carcasse di cinghiale infette nella provincia di Parma. La normativa inserisce numerosi Comuni del Parmense nella zona sottoposta a restrizione I, senza infezioni ma considerata a rischio perché contigua a zone infette: Lesignano de’ Bagni, Soragna, Montechiarugolo, Fontanellato, Parma, Fidenza, Fontevivo, Langhirano, San Secondo Parmense, Traversetolo, Tizzano Val Parma, Palanzano, Neviano degli Arduini, Monchio delle Corti, Solignano, Corniglio. Aggiornata anche la lista dei territori sottoposti a restrizione II, un’area da “zona rossa”, in cui è stata ritrovata una carcassa di cinghiale infetta: Sala Baganza, Fornovo di Taro, Terenzo, Collecchio, Solignano, Varano de’ Melegari, Noceto, Medesano, Felino, Salsomaggiore Terme, Pellegrino Parmense, Calestano, Bore, Tornolo, Bedonia, Compiano, Albareto, Bardi, Borgo Val di Taro, Varsi, Valmozzola, Berceto.
Sono tutti Comuni del Parmense dove la produzione di prosciutto e di salumi è importante, non distanti dai territori di produzione delle province di Reggio e di Modena. Da considerare che la “peste suina africana” è entrata in Emilia-Romagna dalla Liguria, con il primo rinvenimento di carcassa di cinghiale infetta a Ottone, nel novembre scorso, e che da allora ha “percorso” già un centinaio di chilometri. Al momento nessuna zona emiliana è sottoposta alla restrizione III, che si verifica quando sono riscontrati casi di peste nei suini domestici, come è invece successo nel Pavese.
Un inserimento in zona 3 darebbe il via ad abbattimenti di interi allevamenti. Il ministro delle Politiche agricole, Francesco Lollobrigida, in un question time alla Camera, ha detto che «la peste suina africana è una vera e propria pandemia che non riguarda solo l’Italia ma gran parte di Europa e Asia. Siamo riusciti a spiegare ad alcune nazioni, come il Giappone, perché si dovesse riaprire l’export di alcuni prodotti di derivazione suina. Abbiamo aperto un tavolo di carattere internazionale con la Francia e chiesto all’Ue di non considerare la peste suina un problema di una singola nazione. Stiamo cercando di convincere l’Ue a permettere regolamenti che diano garanzia dei prodotti esportati rispetto alla sicurezza animale».
Le associazioni di categoria, tuttavia, sono in fibrillazione. Coldiretti chiede un cambio di passo nella gestione della fauna selvatica, mentre Confagricoltura chiede misure rapide sull’abbattimento dei cinghiali, «principale veicolo della malattia». Assosuini attacca il governo e annuncia vie legali a tutela della filiera alimentare: «Il disastro è servito». Sul fronte dei consumi, sono arrivate rassicurazioni da Alessandro Utini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma: «La Peste Suina Africana, estremamente nociva per cinghiali e suini, non ha alcun impatto sull’uomo, poiché non è in nessun modo trasmissibile dall’animale alle persone – ha spiegato – Al momento il contagio nelle nostre zone interessa solo la fauna selvatica, i cinghiali. La malattia non rappresenta alcun pericolo per l’uomo e né in Italia né nell’Ue vi sono limitazioni alla commercializzazione del nostro prodotto. Detto questo, l’arrivo del virus nel territorio di produzione del Prosciutto di Parma impone precisazioni rispetto all’export extra-Ue, una leva importante per la stabilità del comparto produttivo della Dop». È questo, infatti, il rischio principale: che qualche concorrente ci speculi sopra o si dia ad azioni di sciacallaggio economico: «Sin dai primi casi riscontrati nella nostra penisola a inizio 2022, diversi Paesi Terzi (Cina, Giappone, Taiwan, Messico, tra gli altri) hanno intrapreso una politica protezionistica, chiudendo il proprio mercato indistintamente a tutti i prodotti a base di carne suina provenienti dall’Italia. Viene da domandarsi quali scenari attendano l’export del Prosciutto di Parma ora che il virus è riuscito a insinuarsi nella zona tipica».
Per Utini circolano «informazioni fuorvianti». La realtà è che «ad eccezione dei Paesi menzionati sopra, che già in precedenza avevano chiuso le loro frontiere, il Prosciutto di Parma continua a circolare regolarmente verso le destinazioni d’esportazione. Le elevate garanzie sanitarie fornite dalla lunga stagionatura del nostro prodotto permettono di mantenere aperti importanti sbocchi per l’export come Usa e Australia». «L’unico cambiamento di rilievo – ammette – riguarderà le esportazioni in Canada, Paese verso il quale le aziende produttrici situate in zone di restrizione II non potranno più spedire il loro prodotto». Da qui l’auspicio «al contenimento ed eradicazione del virus». © RIPRODUZIONE RISERVATA