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Parco del Delta, liberate le tartarughe di fiume: «Buona vita piccole»

Stefania Andreotti
Parco del Delta, liberate le tartarughe di fiume: «Buona vita piccole»

Emozione e partecipazione all’evento organizzato nell’oasi naturalistica del Reno. Domenica scorsa il rilascio di due esemplari di Emys orbicularis, la specie autoctona dei nostri fiumi. Gli animali erano stati trovati debilitati qualche mese fa e sono stati curati dai biologi marini del Cestha. L’iniziativa ha voluto ricordare la grande importanza della biodiversità nella zone umide

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Parco del Delta Antropomorfizzare, ovvero attribuire comportamenti umani gli animali, è un errore madornale, ma quando la tartaruga palustre appena liberata nel fiume Reno è tornata indietro e per qualche secondo è rimasta a fissare la biologa marina che l’aveva curata, a tutti i presenti è sembrato un gesto di gratitudine.

O almeno piace pensarlo, come in ogni fiaba a lieto fine. «Questo non era previsto, buona vita piccolina» l’ha salutata commossa Linda Albonetti del Cestha di Marina di Ravenna che la scorsa domenica ha rilasciato nel loro habitat due esemplari di Emys orbicularis di circa due anni, trovati debilitati e salvati qualche mese fa, poi curati, nutriti e rimessi in condizione di tornare a nuotare liberi nelle acque dell’oasi Acqua Campus Natura del Canale Emiliano Romagnolo, che si trova a ridosso dello sbarramento mobile Traversa di Volta Scirocco a Mandriole di Sant’Alberto, nel Parco del Delta del Po, tra le Valli di Comacchio e l’Adriatico. Uno dei luoghi naturalistici più importanti d’Europa. Per questo Life Climax Po, il macro-progetto europeo per l’adattamento al cambiamento climatico nel distretto del fiume Po, ha scelto questo angolo di terra incastonato tra le acque per l’iniziativa “Big Jump...Tarta”, che ha permesso a una sessantina di persone di visitare questo incontaminato spazio protetto e assistere all’emozionante “grande salto” in acqua delle tartarughe palustri, specie autoctona sempre più minacciata da quella alloctona delle tartarughe d’acqua dolce americane, divenute infestanti dopo che tanti collezionisti privati le hanno abbandonate perché divenute troppo grandi per gli acquari domestici.

«La proliferazione di specie aliene - ha spiegato la ferrarese Paola Fagioli, della segreteria regionale di Legambiente, tra i partner del progetto - è causata dal cambiamento climatico che ha reso più ospitale per loro questo territorio, dove un tempo non sarebbero sopravvissute. Siamo ricorsi a questo salto simbolico per far conoscere la biodiversità di questo territorio, farne comprendere il delicato equilibrio e far capire l’importante ruolo che le aree umide hanno per preservare l’ambiente».


«Sono 25 i partner nazionali di Life Climax Po, tra cui l’Associazione dei Consorzi di bonifica e di irrigazione e l’Autorità di Bacino del Fiume Po, capofila del progetto - ha spiegato Francesco Tornatore, responsabile dell’Adb Po - l’obiettivo è quello di studiare il cambiamento climatico e trovare delle soluzioni di adattamento che posano essere perseguite nel medio e lungo periodo. Il progetto dura 9 anni ed ha un budget complessivo di 20 milioni di euro, uno dei progetti europei più grandi attualmente attivi. L’obiettivo è per noi particolarmente importante ed ambizioso, perché riguarda tutto il distretto del fiume Po, di cui anche il Reno fa parte da 5 anni. Questo bacino viene considerato a livello internazionale un hotspot climatico, perché si trova al confine tra due aree climaticamente molto diverse che sono il bacino del Mediterraneo e il Centro Europa. Ed è una di quelle aree dove, secondo le proiezioni di tutti i vari modelli, gli effetti del cambiamento climatico saranno quantomai evidenti, come dimostrano i repentini passaggi da periodi siccitosi ad alluvioni. Un’area tanto fragile quanto preziosa per la regimazione delle acque, ma anche dove proliferano risorse e biodiversità».