Ferrara, bella vita con i soldi dell’accoglienza: mezzo milione da restituire allo Stato
La Corte dei Conti condanna per danno erariale la coop Vivere Qui che gestiva dei Cas a Vigarano e Poggio Renatico
Ferrara Il processo penale è ancora in corso, quello contabile si è invece concluso davanti alla sezione emiliano-romagnola della Corte dei Conti: gli amministratori della coop dell’accoglienza Vivere Qui dovranno restituire allo stato quasi mezzo milione di euro, quanto cioè gli viene contestato di aver ricevuto dal ministero dell’Interno e usato per scopi diversi dall’accoglienza migranti per i quali erano stati concessi, causando così un danno da disservizio.
Le condanne Nel dettaglio, la Corte dei Conti ha condannato in solido la cooperativa Vivere Qui, Thomas Atongni Kuma e Nathalie Beatrice Djuom, che della società erano presidente e vice, al pagamento di 407.291 euro a favore del ministero dell’Interno. Società, vertici e la consigliera di amministrazione Eva Rosa Lombardelli sono stati condannati anche al pagamento di 10.116 euro sempre a favore del Viminale per le irregolarità riscontrate nei registri presenze che avrebbero contribuito a causare il danno erariale. La Corte ha invece respinto la richiesta della procura contabile di condannare anche la ex funzionaria dell’Asp, assunta con contratto interinale, riconoscendo anzi alla sua difesa il diritto alla liquidazione delle spese (800 euro) da parte del ministero.
Il giudizio per il danno erariale nasce dall’indagine della Guardia di finanza di Ferrara, coordinata dal sostituto procuratore Andrea Maggioni, su una presunta truffa per percezione e l’utilizzo dei fondi destinati all’accoglienza dei migranti negli anni tra il 2015 e 2018 dalla Vivere Qui, che gestiva diversi Cas tra Vigarano e Poggio Renatico. Da questa indagine, peraltro né partì una tappetto su tutte le altre cooperative e società coinvolte nell’accoglienza, conclusa con una valanga di archiviazioni ma anche con un secondo procedimento a carico ancora di Vivere Qui e della coop padovana Un mondo di gioia.
Da quanto emerso finora, la coppia al vertice di Vivere Qui avrebbe utilizzato i fondi ricevuti dare ospitalità e assistenza ai migranti per scopi del tutto diversi e di tipo privato, approfittando degli scarsi controlli (anzi, letteralmente "telefonati") di Asp e Prefettura. Anche in sede contabile è stato contestato «l’irrituale impiego di risorse pubbliche, deviate rispetto alla loro istituzionale funzione; cosa che ha dato luogo, con un lineare nesso di causa-effetto, a un’inefficiente allocazione della spesa, il cui esborso non è stato (o non è stato del tutto) orientato nell’ottica degli obiettivi connotanti il programma pubblico». Ancora, scrive la Corte, «come emerge agli atti, i ripetuti prelievi di denaro non trovano congrue giustificazioni, appalesandosi dispersioni di risorse pubbliche comprovate dai gravi disservizi riservati ai richiedenti protezione internazionale ospitati nelle strutture».
D’altronde, tra le contestazioni mosse in sede penale e contabile ad Atongni e Djuom vi è quello di aver effettuato prelievi in contanti per una cifra superiore a 350mila euro dai conti riferibili alla cooperativa, senza alcuna rendicontazione delle spese e, soprattutto, senza più alcuna possibilità di tracciare il flusso di denaro. Il tutto anche con anche contestate carenze gravissime nella gestione del servizio, a partire da una situazione igienico-sanitaria dei Cas da spavento, caratterizzate, così emerge dagli atti delle Fiamme Gialle e dalle intercettazioni, da infestazioni di topi e scarafaggi e contaminazione delle provviste alimentari destinate al sostentamento dei profughi. E ancora, fogne intasate per mancanza di manutenzione e spurghi, mancanza di cibo e vestiario, mancato cambio delle lenzuola e carenza di presidi medici di sicurezza e di elettrodomestici.
I soldi per la gestione dei Cas venivano invece usati per soddisfare interessi e bisogni personalissimi degli amministratori della cooperativa. Citando l’informativa della Guardia di finanza, la Corte dei Conti elenca acquisti di «capi di abbigliamento di prestigiosi brand; prodotti hi-tech di ultima generazione; viaggi privati; tour a parchi giochi; pacchetti in centri di benessere; iscrizioni a palestre, piscine, corsi per patente guida, bottiglie di vino e champagne delle migliori marche, finanche l’inseminazione artificiale».
Condotta illecita e dannosa per lo Stato attuata anche con la falsificazione dei registri presenze (cosa alla quale avrebbe compartecipato anche la Lombardelli), facendo apparire come presenti più migranti di quanti ve ne fossero in realtà, per ottenere così maggiori fondi per poco più di 10mila euro.