Ferrara, le confessioni della mamma sull’omicidio del figlioletto
Le motivazioni della Corte d’assise per la condanna di Amanda Guidi
Ferrara La dinamica accertata dai medici. Le confessioni plurime. La volontà di arrivare fino a quel punto. Sono i tre cardini sui quali si regge la sentenza con la quale la Corte d’assise di Ferrara presieduta dalla giudice Piera Tassoni ha condannato a 22 anni di reclusione Amanda Guidi, 32 anni oggi, per l’omicidio volontario del figlioletto Karim, soffocato a letto nella notte tra il 16 e il 17 giugno del 2021 in via degli Ostaggi. Le motivazioni, redatte dalla giudice Alessandra Martinelli, sono lunghe 36 pagine e danno conto del percorso che ha portato la Corte a ritenere Guidi responsabile dell’omicidio, riconoscendole però le attenuanti generiche: da un lato per il suo comportamento processuale improntato alla collaborazione (con l’assistenza degli avvocati Marcello Rambaldi e Alessio Lambertini) e dall’altro perché è stato acclarato che si affetta da un importante disturbo della personalità e da un vissuto molto complesso che, se anche non ha inficiato in senso processuale la sua capacità di intendere e di volere, costituisce un fattore di cui tenere conto nella commisurazione della pena.
La morte
Il piccolo Karim, che aveva un anno quando è morto, è deceduto per via di un «meccanismo letifero di tipo asfittico», per usare le parole del medico legale Paolo Frisoni. È stato soffocato o apponendogli qualcosa di morbido sul volto per occludere le vie respiratorie, oppure tappandogli bocca e nasino con le mani. Quest’ultima è stata probabilmente la modalità usata dall’imputata. È emerso anche che il piccolo fosse intossicato dalla cocaina, assunta probabilmente nel corso dei primi 8 mesi di vita tramite il latte materno. Guidi ha infatti un passato di abuso di stupefacenti e alcol, e quella notte e risultata essere intossicata sia dall’alcol che dalla cocaina. Confessioni Guidi non si è mai presentata a processo, non si è sottoposta a interrogatorio né ha rilasciato dichiarazioni spontanee. Però nel corso delle indagini ha parlato con più persone (carabinieri, un medico di ospedale, il marito e un’amica conosciuta in una comunità dove aveva intrapreso un percorso di recupero psichico) e a esse ha "confessato", anche per iscritto con messaggi sul cellulare, e in maniera sostanzialmente coerente tutte le volte, di aver ucciso lei il bambino, di averlo fatto perché non ce la faceva più a vivere in quelle condizioni e aveva paura che nessuno lo avrebbe amato come lei e se ne sarebbe occupato. Ha raccontato anche le modalità. Per l’assise sono dichiarazioni credibili, «pienamente corroborate dai solidi ed inconfutabili accertamenti di natura medico-legale».
Volontà
Anche per il tramite di quelle confessioni, la Corte ha ritenuto che la morte di Karim sia stata un omicidio volontario, compiuto con dolo, quantomeno "eventuale", ovvero compiendo l’azione accettando le conseguenze peggiori. E i periti psichiatrici nominati dal tribunale hanno escluso che il pesante disturbo di personalità borderline di cui Guidi soffre abbia influito su volontà di intendere e di volere. Non credibile, invece, anche a fronte delle ripetute confessioni, la totale amnesia dell’evento opposta nei colloqui con gli psichiatri. La difesa appellerà la sentenza.