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Cultura, cresce la ricchezza a Ferrara. Ma la filiera va irrobustita

Stefano Ciervo
Cultura, cresce la ricchezza a Ferrara. Ma la filiera va irrobustita

Le oltre 8mila aziende del settore sono comunque in trend positivo

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Ferrara Una provincia insignita con il riconoscimento Unesco, che va ricordato si estende dalle Mura cittadine fino al Delta, ma anche ancora non riesce a trasformare in oro i suoi tesori culturali e architettonici. È questa a fotografia del Ferrarese scattata dal 14esimo rapporto Symbola-Tagliacarne sul valore della cultura, anche se i dati della Camera di commercio evidenziano un trend in crescita della filiera produttiva legata appunto alla cultura.

Il rapporto

Nelle oltre duecento pagine del report 2024 Ferrara non viene citata nemmeno una volta, contro le 9 di Modena, grazie soprattutto alle Gallerie Estensi, le 8 di Bologna o naturalmente le 44 di Venezia: per lo più con progetti innovativi legati a web, cinema, editoria, turismo. L’annesso focus sull’Emilia Romagna conferma in sostanza la posizione di retroguardia del Ferrarese, peraltro già emersa in precedenti edizioni della ricerca: i dati più rilevanti sono 344 milioni di euro di valore aggiunto connesso alla cultura, con 5.860 occupati, entrambi da ultimo posto in regione. Basti pensare che Piacenza, penultima, fattura 432 milioni e occupa 6.942 persone, mentre il confronto con Bologna (2.715 milioni e 37.504 occupati), Modena (1.486 e 22.326) e Parma (1.009, 14.345), che occupano il podio, è ovviamente impietoso: nel complesso l’Emilia Romagna deve alla cultura il 5% della sua ricchezza, e quasi il 6% dei posti di lavoro. In generale, va sottolineato come il settore più “ricco” risulti quello del software e videogiochi, che vale il 16% dell’intera filiera ed in crescita di due cifre, precedendo stampa ed editoria; e che le regioni più dinamiche stiano al sud, ad esempio Calabria e Sardegna, peraltro su cifre ancora basse in termini assoluti. Citati in giro per l’Italia numerosi progetti di sviluppo basati sui riconoscimenti Unesco, quasi tutti posteriori a quello di Ferrara.

Le dinamiche

È la Camera di commercio a mettere in luce gli elementi positivi connessi a questa fotografia. La filiera culturale, sottolineano in Largo Castello, è in grado di attivare in altri comparti 1,8 euro di valore aggiunto per ogni euro prodotto internamente, e coinvolge soggetti pubblici, privati e del terzo settore. «Nel 2023 è cresciuta sia dal punto di vista del valore aggiunto (+4,6% rispetto all’anno precedente e poco più del 10% rispetto al 2019), che da quello dell’occupazione (+2,8% rispetto al 2022, a fronte di +1,8% registrato a livello nazionale). Una filiera - sottolinea la Cciaa - complessa e composita in cui si trovano ad operare oltre 8mila imprese, in crescita rispetto al 2022, e numerose organizzazioni no-profit che si occupano di cultura e creatività, le quali impiegano, tra dipendenti, interinali ed esterni, il 2,2% del totale delle risorse umane retribuire operanti nell’intero universo no profit». Dall’analisi del rapporto emergono spazi di crescita, visto che «emerge un’attenzione sempre più centrata sul fattore uomo e sui nuovi modelli di sviluppo, centrali anche in ottica Impresa 5.0, il nuovo paradigma produttivo che punta alla sostenibilità e alla relazione cooperativa tra uomo e macchina. In primo piano ci sono l’anima e i valori identitari che rendono un’impresa consapevole e responsabile, tanto nei processi produttivi quanto nelle relazioni di filiera e territori. Su quest’ultimo aspetto, l’architettura e il design si rivelano particolarmente virtuosi».

Le riflessioni

Per Paolo Govoni, vicepresidente della Camera di commercio di Ferrara e Ravenna, «cultura e arte sono volani di crescita equilibrata e fanno bene all’economia. Lo dimostrano i legami sempre più stretti tra fruizione di beni artistici e turismo, le applicazioni di nuove tecnologie nei progetti e nei percorsi museali e culturali, le ricadute di un sistema industriale e produttivo che compete sulle scena globale con creatività e prodotti ad alto contenuto innovativo». Nell’era IA, secondo Govoni, «gli oggetti dall’anima super tecnologica hanno sempre più bisogno della cultura, che rende capaci d’incorporare bellezza e valore nei prodotti».