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Da eroi della pandemia a colpevoli, la parabola di medici e infermieri

Stefano Luppi
Da eroi della pandemia a colpevoli, la parabola di medici e infermieri

Sempre più offese e aggressioni. E i bandi che offrono lavoro vanno deserti

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Quelli che fino a due anni fa tutti chiamavano «eroi, combattenti contro il covid» - ossia i medici e gli infermieri - oggi vengono presi spesso a male parole, offesi, strattonati quando non aggrediti fisicamente, malmenati, non di rado addirittura feriti. Solo per restare alle ultime ore in Emilia Romagna c’è stata appunto una infermiera accoltellata alla Casa della Comunità di Meldola, nel forlivese e un operatore socio sanitario che al pronto soccorso dell’ospedale di Reggio si è visto mettere le mani al collo da un paziente alterato. Le aggressioni al personale sanitario sono dunque all’ordine del giorno e i sindacati naturalmente protestano con forza chiedendo un aumento del personale nell’emergenza in modo da abbassare i tempi di attesa nei Pronto soccorso che spesso generano frustrazione nei pazienti. Ma occorre, dicono i rappresentanti di categoria, aumentare i presidi di polizia negli ospedali e aiutare meglio - con meno burocrazia rispetto al sistema della Regione Emilia Romagna - chi viene aggredito. Che aggressioni verbali e fisiche siano in aumento lo dice il "Rapporto Emilia-Romagna 2019-2023" redatto pochi mesi dalla Regione stessa.

I NUMERI

L’anno scorso le aggressioni sono state in tutto il territorio regionale 2.401 (1.977 in ospedali) di cui 1.345 causate dal paziente in cura e 495 da un parente o caregiver: episodi in crescita dappertutto negli anni che prendono di mira nel 60% dei casi gli infermieri. Il record, analizzando i singoli territori, è per l’ampia Ausl della Romagna (493 casi nel ’23) mentre con 350 e 349 aggressioni ci sono le aree delle Ausl rispettivamente di Bologna e Reggio (quest’ultima molto più piccola del capoluogo) seguono Modena con 305 casi tra Ausl e ospedali e Ferrara con 142. Ovviamente questo è "l’emerso" perché in realtà i sindacati spiegano che per le aggressioni meno "gravi" spesso i sanitari lasciano perdere.

GLI OSPEDALI

Alcuni mesi fa per affrontare tali gravi problemi Claudio Vagnini, direttore generale della azienda ospedaliero-universitaria di Modena aveva detto: «Modificheremo i pronto soccorso» e ieri, contattato, è entrato nel merito ricordando che la disaffezione in atto nei bandi per professioni sanitarie non dipende solo dal rischio violenze, ma anche da altri fattori come gli stipendi e la programmazione: «Le Aziende sanitarie - spiega Vagnini - fanno oggettivamente fatica a reperire risorse umane in diversi settori, con una vera crisi di vocazioni non solo per le specialità dell’emergenza, ma anche per chirurgia generale, ostetricia, ginecologia. E il problema investe anche il personale infermieristico». Che fare: «Le cause - prosegue - sono molteplici e di sistema ed esiste il grave problema della qualità di vita per gli operatori sanitari visto che i Ps sono porte di accesso sempre aperte, luoghi soggetti a contenziosi e aggressioni. Una possibile soluzione è lavorare sui contratti per premiare quelle specialità più problematiche e sulla programmazione dei flussi di ingresso a medicina e nelle diverse specializzazioni. Ai cittadini chiediamo di aiutarci cercando di capire che il nostro personale fa un servizio difficile e logorante: le aggressioni non sono solo comportamenti biasimabili dal punto di vista del diritto, rischiano di allontanare ancora di più i giovani da professioni fondamentali».

MEDICI E INFERMIERI

«Prima eroi e ora malmenati - riflette amaro Pierluigi Api, consigliere nazionale di Anaao Assomed (medici dirigenti) coordinatore per Ferrara. Le aziende sanitarie devono capire che il personale va sostituito perché i pazienti si arrabbiano se devono aspettare troppo a lungo nei Ps. Ma a Ferrara l’Ausl, mentre il personale è in trincea, ci dice che occorre tenere sotto controllo il bilancio perché così vuole la Regione che a sua volta dà la colpa allo Stato». Stesso discorso per le infermiere, come riferisce Francesca Batani, responsabile Emilia Romagna di "Nursing Up": «Siamo passati da un estremo all’altro e oggi siamo all’acme delle violenze che comunque ci sono sempre state, spesso non denunciate anche perché la Regione per la nostra tutela ha messo in campo un sistema troppo farraginoso, con troppi moduli. Di recente l’assessore regionale Donini ha detto che le Aziende nel caso di episodi gravi si costituirà parte civile, ma noi il sostegno fatichiamo a vederlo».

«I problemi sono gravi per ospedali, servizi psichiatrici e nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, dove di recente un operatore è stato aggredito a Reggio - dice Gennaro Ferrara, segretario funzione pubblica sanità Cisl Emilia Romagna - perché i tipi di violenza sono tre. Ci sono i cafoni, i parenti che vogliono entrare a trovare il degente in qualunque orario e sfidano il personale ospedaliero, ma ci sono anche le violenze di persone alterate che le forze dell’ordine, a loro volta con problemi di organico, scaricano in ospedale e infine c’è la violenza causate dalle troppe ore di attesa in pronto soccorso. Servono perciò posti di polizia h24 nell’emergenza e protocolli che definiscano come si tratta la persona alterata e come aiutare la vittima dal punto di vista legale, inoltre è fondamentale introdurre la figura dell’assistente di sala nei PS». Riflette infine Giulia Casamassima responsabile sanità Fp Cgil Modena: «L’aumento delle aggressioni è legato a stretto filo alla carenza di personale nei PS che fa lievitare i tempi di attesa del paziente, fino a livelli a volte insostenibili per chi ha problemi di salute. Le aggressioni verbali ormai sono all’ordine del giorno e anche quelle fisiche sono sempre causate dal grosso stress dell’attesa: serve perciò più personale medico e infermieristico e occorrono maggiori supporti giuridico e psicologico, oltre alla certezza della pena per chi commetti reati».