La Nuova Ferrara

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L’editoriale

Noi e l’Emilia che sa fare bene

Cristiano Meoni
Noi e l’Emilia che sa fare bene

L’eccellenza come solo modo per uscire dall’emergenza idrogeologica

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Ferrara Capita, a noi giornalisti, che non sappiamo mai come andrà a finire la giornata da raccontare ai lettori, di partire con un programma e terminare con un altro. Stavo scrivendo un certo tipo di saluto: da oggi lascio la direzione dei quotidiani emiliani del gruppo Sae per assumere un nuovo incarico. Ma poi ho dovuto ricominciare daccapo e scriverne un altro. La terza alluvione in poco più di un mese lo impone. Cara Emilia, che mi hai accolto fra le tue braccia e dove lascio un pezzo del mio cuore, quanto sei bella, ricca e operosa. Ma anche fragile. Le immagini e le testimonianze che arrivano dalle aree alluvionate stringono il cuore. Un ragazzo di vent’anni morto, travolto dall’acqua mentre era in auto. Una città, Bologna, in ginocchio. Interi quartieri e frazioni del Modenese e del Reggiano insonni, spaventate dall’avanzare della piena. La fascia appenninica devastata dalle frane. Rispetto alla pioggia monsonica che si è abbattuta sulla regione i danni sono contenuti. La macchina della prevenzione, allertata dai modelli meteorologici che si sono rivelati azzeccati, si è mossa con sollecitudine, tanto che già sabato sera intere strade vicino a fiumi e torrenti sono state sgomberate. La mappa dei territori danneggiati ricalca alla perfezione quella dell’allerta rossa proclamata dalla Regione. La frequenza degli eventi indica che l’Emilia Romagna è, insieme alla Liguria, la regione più esposta al dissesto idrogeologico per la sua sfortunata posizione geografica. Senza un intervento drastico, questo stato di cose non cambierà. E allora cosa serve? Serve quello per cui gli emiliani sono apprezzati nel mondo: saper far bene le cose. Massimo Bottura, chef pluristellato, ripete che «noi emiliani abbiamo l’ossessione della qualità». Ha ragione.

Aggiungo che tante volte ho incontrato nei miei interlocutori il compiacimento per la capacità di trasformare il proprio ingegno in un’opera tangibile, che sia un pezzo meccanico, un software innovativo, un’esperienza sociale avanzata. E’ la vocazione manifatturiera il tratto distintivo dell’Emilia, che la spinge verso l’eccellenza in tutti i campi in cui si propone. Questa capacità di fare bene le cose va applicata ora all’emergenza ambientale, che è la principale assieme a quella economica. Di fronte a duecento millimetri di pioggia non c’è da dubitare troppo: le casse di espansione possono non bastare, bisogna fare gli invasi. Firenze, dopo la disastrosa alluvione del 1966, è stata messa in sicurezza con un invaso a monte e da allora l’Arno non ha dato più problemi. Ma ci sono voluti trent’anni per vederlo realizzato. Qui dobbiamo fare molto prima.Mi si consenta, infine, qualche parola sui tre giornali che ho diretto. A Modena, a Reggio Emilia e a Ferrara ho trovato colleghi competenti e appassionati che mi hanno seguito nel tracciare un futuro possibile per un settore complesso come quello dei quotidiani d’informazione: li ringrazio uno a uno, una a una. Ringrazio l’editore, nella persona del presidente del gruppo Sae Alberto Leonardis, che ha creduto in questa squadra da cui ha poi attinto il direttore che mi succederà: Davide Berti, giovane e preparato, creativo e inclusivo, saprà proseguire sulla strada dell’innovazione. Per quanto mi riguarda, il nuovo incarico mi porterà spesso nell’Emilia bella e operosa, sperando di trovarla presto meno fragile di adesso.