Ferrara, processo stadio. Tassi: «Ho subito pesanti ricatti
L’imprenditore Giuseppe Tassi ha risposto alle domande sullo stadio Mazza e le lavorazioni contestate e poi finite sotto inchiesta. Ha anche raccontato di minacce che ha dovuto subire e della limitata marginalità dell’opera costata quasi 7 milioni di euro
Ferrara Ha risposto sui contratti, sui lavori, sui soldi, sui guadagni. E poi ha lanciato più volte dei macigni carichi di accuse gravi. «I ricatti che ho subito dalla Di Sarno sono stati pesanti», ha detto Giuseppe Tassi, l’imprenditore a processo per frode in pubbliche forniture per i lavori allo stadio Paolo Mazza del 2019, che ieri si è sottoposto all’esame e ha risposto alle domande della pm Barbara Cavallo e del suo difensore, l’avvocato Giulio Garuti.
Ricatti Tassi lo ha detto più volte, spingendosi anche a parlare di «modo quasi mafioso di ricattare le persone», raccontato di alcune chiamate ricevute da parte della società che poi qualcosa ha effettivamente fatto contro di lui ed è anzi la principale causa del processo in corso: un esposto alla procura e poi un’integrazione, inviata a tutti gli organi tranne che proprio alla procura, in cui si parlava di pesanti difformità nell’esecuzione dei lavori. A quell’esposto seguì una contro denuncia di Tassi per calunnia. «I bulloni c’erano tutti», ha detto l’imprenditore, che ha aggiunto «un anno dopo ci viene contestato che mancano 10-15 bulloni e mancano tutti ad altezze accessibili», «salendo sui betafence si può accedere a quelle piastre». Il sotto-testo, senza girarci troppo attorno, è che qualcuno li abbia tolti di proposito per arrecargli un danno: «Possibile che tutti non ci siamo accorti che mancavano dei bulloni, possibile che mancassero tutti in zone accessibili?». Per Tassi, ancora, «bisognerebbe chiedere alla Spal come mai mancavano i bulloni». L’imputato ha rivendicato «controlli molto scrupolosi sul serraggio» dei bulloni, fatti anche dalla Welding Duebi, società chiamata alla fine per concludere i lavori, «segnavamo con uno spray o con un pennarello dove eravamo passati, se fossero mancati dei bulloni ce ne saremmo accorti». Il focus è stato sulla Di Sarno Engineering, una società di Claudio Di Sarno, che è il “grande accusatore”, prosciolto in sede di udienza preliminare, e che, sentito come testimone, aveva affermato di vantare addirittura un credito di 490mila euro nei confronti della Tassi. Aveva preso in subappalto dalla società Gielle le lavorazioni delle carpenterie metalliche per la copertura della curva est. Sempre a Di Sarno afferisce la società svizzera Panizzi, «che lui usava come “factory”», ha detto ieri Tassi, spiegando da cosa nacque la tensione: «Aveva messo in scadenza dei pagamenti con tempo diversi rispetto a quelli contrattati con la Gielle». Motivo per il quale la Tassi, chiamata in causa, ha anche «fatto un paio di pagamenti alla Panizzi in nome e per conto della Gielle, alla quale dovevamo pagare delle fatture».
Spese extra Un’altra questione riguarda proprio la Gielle e la Pm Group, due società i cui legali rappresentati (Adelino Sebastianutti e a Domenico Di Puorto ) sono a processo come Tassi e sulla cui consistenza reale la procura ha da sempre manifestato più di un dubbio. Il patron della società centese ha spiegato di essersi prima rapportato con la Pm Group, poi di aver avuto solo contatti con la Gielle dopo che gli era stato rappresentato che quest’ultima avrebbe assorbito la prima. Un rapporto non proprio idilliaco: «Abbiamo speso un milione e trecentomila euro in più grazie alla Gielle», ha detto Tassi. Una parte di quei soldi, circa 250mila euro, Tassi ha detto di averli dovuti sborsare per via delle contestazioni di non conformità delle lavorazioni svolte. L’imprenditore ha anche detto che la Spal, tramite il direttore dei lavori Lorenzo Travagli (a processo anche lui per falso) gli aveva contestato lo Stato di avanzamento lavori finale, pari a circa 890mila euro, facendogli calare gli importi di circa 300mila euro.
L’appalto Tassi ha poi dovuto spiegare come ha ottenuto l’appalto dei lavori. Nella sostanza: era già main sponsor della Spal e l’accordo con la società era che avrebbe ottenuto i lavori a parità di prezzo con un margine del 2% rispetto ai preventivi ottenuti da altre aziende. Tassi ha specificato che non vi fu gara e che l’accordo venne preso direttamente con la Spal: un dettaglio che conta nel contesto delle accuse, perché per la Procura l’appalto, pur essendo stato stipulato erroneamente tra privati, riguarda in ogni caso un’opera pubblica (ecco perché la frode in pubbliche forniture).
Il guadagno Tassi, infine, ha rivelato che su un appalto da 6,8 milioni di euro, «noi abbiamo portato a casa poco meno di 200mila euro». E, in più, tutto il caos generato dall’inchiesta «ci ha estromessi dall’appalto per la costruzione del nuovo stadio dell’Atalanta», che era fortemente interessata ai servizi della Tassi proprio per via dei lavori eseguiti al Paolo Mazza.