Imparare a guardare per imparare a vivere: gli scatti di Bresson
La mostra del celebre fotografo a Palazzo Roverella di Rovigo. Così l’immagine svilita dall’inflazione digitale ritrova il suo valore
Rovigo Non c’è dubbio che Henri Cartier Bresson, definito “occhio del secolo” sia un maestro della fotografia a livello internazionale. Visitando la mostra “Henri Cartier Bresson e l’Italia” a lui dedicata, allestita a Rovigo a Palazzo Roverella fino al 26 gennaio 2025, si può comprendere cosa significhi il “momento decisivo” fotografico e vivere la suggestiva esperienza di “viaggiare” in Italia negli anni Trenta, Cinquanta, Settanta.
Le persone fotografate sono spesso anonime, ritratte nella vita quotidiana: dall’osservazione di esse si percepisce subito il potere della fotografia che è quello di catturare un momento fondamentale e renderlo eterno. Per questo è così importante che le inquadrature non siano state ritoccate e le foto non siano state corrette, poiché in questo modo sono state rese uniche. Se è vero che ci vuole infatti tecnica per fotografare, quando si guarda non lo si fa solo con gli occhi.
Nella parte finale della mostra si trova una citazione dello scrittore francese André Pieyre de Mandiargues: “Cercavo di imparare a vedere, cioè, prima di tutto, di imparare a guardare, per imparare a vivere. Riguardo a questo, so quanto devo a Henri Cartier Bresson e non smetterò mai di essergli grato”.
A lui l’artista Bresson ha insegnato proprio questo. La fotografia è dunque la testimonianza dei momenti storici poiché dietro a una fotografia c’è una storia da raccontare, c’è la memoria, c’è un frammento di eternità e soprattutto c’è la sensibilità dell’artista. È proprio per questo che tramite la fotografia si può dialogare con lui. Ci sono momenti infatti che vale la pena immortalare, perché la fotografia non può fermare la vita e il tempo così sfuggente, ma può raccontarla.
L’esposizione del fotografo Bresson evidenzia così la sua controtendenza rispetto alla superficialità della società moderna: ossia riuscire a cogliere “l’attimo” e fermarsi un momento per riflettere su ciò che le immagini vogliono trasmetterci. Il valore delle fotografie esposte si ritrova in ciò che è mostrato, nei soggetti e nell’istante in cui sono state scattate. Riprendono dei momenti significativi e trasmettono un messaggio a chi le osserva. L’essenza dell’intera mostra consiste proprio nel riportare in vita quei valori che nella nostra società rivestono sempre meno importanza e considerazione.
Infatti oggi siamo inondati dalle immagini, che ci accompagnano in ogni ambito della nostra vita. Si trovano dappertutto: per strada, nei negozi, nei libri, nei giornali e soprattutto in televisione e sul cellulare, dove trovano la loro massima esposizione nei social media.
Apparteniamo a una vera e propria “società dell’immagine”, a cui ormai siamo così abituati da essere diventati indifferenti. Le immagini hanno perso il loro valore negli anni, perché sono diventate “popolari”: ognuno con il proprio dispositivo può scattare delle foto o riprendere dei video, in qualsiasi momento e luogo. Ad aumentare poi la “popolarità” delle fotografie superficiali sono i social media che le svalutano maggiormente, dal momento che i soggetti raffigurati non assumono più un valore significativo o storico, ma si concentrano soprattutto sull’aspetto estetico e su ciò che è considerato “bello”, secondo i canoni volubili dei media.
Complice il progresso digitale, che porta con sé il “declino” della fotografia professionale, anche altri strumenti di comunicazione ormai vengono considerati superati, soprattutto dalle nuove generazioni. Sono ritenuti media obsoleti quei canali di informazione che ormai sono sorpassati da tutto ciò che è on demand, e che quindi possiamo sapere o ascoltare quando vogliamo, senza limiti. Per questo i grandi media come la radio, il quotidiano e la televisione satellitare hanno visto una riduzione significativa del loro pubblico. Nonostante ciò, molte associazioni e scuole si pongono come obiettivo di trasmettere alle nuove generazioni il fascino e l’importanza di questi media, anche se ritenuti antiquati, attraverso progetti e iniziative che coinvolgono i giovani a prendere parte nei media stessi.
Il liceo Ariosto per esempio da due anni ha la sua radio, Ariosto radio web: un mezzo di comunicazione antico, ma anche giovane, grazie alla redazione di ragazzi che se ne occupa e alla varietà degli argomenti: progetti e attività extra-scolastiche, che coinvolgono studenti e studentesse di diverse classi e indirizzi. In questo modo la radio diventa uno spazio libero di creatività e riflessione, che si può condividere anche al di fuori dell’ambito scolastico. Ogni contenuto della radio viene condiviso sul web, e i giovani che prendono parte a questi progetti sono liberi di pubblicare podcast e rubriche con temi da loro scelti e sviluppati. Così gli studenti trovano uno spazio di libertà in cui sviluppano i propri interessi e le proprie abilità comunicative, e insieme riscoprono il fascino della radio.
Alessia Lucia Macrì
Alessandro Verri
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