La Nuova Ferrara

Ferrara

Scuola 2030

Marx alla sbarra: colpevole o innocente?

Matteo Vidali, Luca Stefani ed Eleonora Sala
Marx alla sbarra: colpevole o innocente?

La sfida al capitalismo analizzata in tribunale. Accusa e difesa a confronto per arrivare a sentenza

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“La borghesia non ha soltanto forgiato le armi che daranno la morte; ha anche prodotto gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari. Così affermava lei nel Manifesto del Partito Comunista”. Signor Marx, lei sostiene dunque che il capitalismo sia destinato all’autodistruzione più totale; come una polveriera pronta a esplodere alla più gracile delle fiammelle? Lei pensa davvero che questo archetipo secolare, inciso oramai nelle menti umane, crollerà come un castello di carte? La realtà dei fatti parla chiaro: là fuori vige la legge del più forte, nessuno è disposto a condividere il proprio pane quotidiano con il primo arrivato. Il rispetto e la fratellanza sono oramai valori calpestati come uno zerbino; sempre che sulla Terra ci sia ancora qualcuno che sappia di cosa sto parlando. Il bene comune non è più una prerogativa da quando abbiamo capito che ognuno di noi può benissimo limitarsi a curare il proprio orticello. Il modello sociale ideato da lei e dal Signor Engels è una vera e propria chimera; nulla di attuabile sul piano della realtà, un’utopia. Lei ci ha preso in giro, come Napoleone ha fatto con Foscolo. Noi tutti confidavamo in una società libera da una gerarchia economica, una Venezia libera dal giogo straniero, ma lei ci ha venduto al primo offerente: le sporche mani del capitalismo”.

A muovere la seguente accusa verso Karl Marx, il filosofo padre del comunismo, è Platone, pensatore della Grecia classica. Già al suo tempo, l’epoca delle poleis e della democrazia, se come tale la si può definire, l’allievo di Socrate elabora il suo concetto di Stato ideale, seguendo il sistema poi rinominato comunismo platonico. Secondo quest’ultimo, la società rinascerà con l’abolizione della proprietà privata, sorgente del male e dell’interesse personale, che ostacola il raggiungimento del bene collettivo. La felicità deriva così da un modello sociale fondato sulla condivisione dei beni e la fratellanza. Facciamo un salto temporale al 1848, un’annata movimentata, intrisa di cambiamenti sociali e politici. Proprio in quell’anno, Marx ed Engels pubblicano il fatidico Manifesto del Partito Comunista, destinato a segnare la storia. I due filosofi danno voce ai più deboli, occultati dalle ombre dei potenti e dei ricchi. La società si trasforma in una vera e propria partita di calcio: proletari contro capitalisti, comuni mortali contro autodefinitisi semidei. Sognano un mondo nel quale a chiunque è concesso di essere felice, nel quale non esistono persone di serie A e persone di serie B. Una realtà nella quale tutti collaborano attivamente, senza che qualcuno resti in panchina a osservare, lasciando agli altri il lavoro sporco. Un sistema nel quale il frutto del mio lavoro è allo stesso tempo il risultato del tuo impegno. Abbattono ogni forma di barriera sociale costruendo una comunità compatta che, come una squadra di calcio, arriva unita alla vittoria. Oramai ci abbiamo fatto il callo. Per noi il benessere è un diritto e un dovere. Ognuno di noi sa perfettamente che la nostra società capitalista è sinonimo di ingiustizia e individualità. Il capitalismo resta dunque l’unica soluzione possibile o il modello comunista potrebbe rivelarsi attuabile?

La difesa

Onorevole corte, cosa succederebbe se, in una società che si definisce giusta e libera, il potere e le risorse fossero concentrati nelle mani di pochi, mentre la maggioranza è costretta a lottare per sopravvivere? Ecco la domanda che dobbiamo porci quando si parla di capitalismo. Il capitalismo non è un sistema naturale, non è una legge immutabile della storia. È una costruzione sociale che sfrutta la divisione tra chi possiede i mezzi di produzione e chi, invece, è costretto a vendersi, a vendere la propria forza lavoro, per sopravvivere. Karl Marx è stato tra i primi ad analizzare questa realtà, denunciando la disuguaglianza che il capitalismo genera. Ha criticato un sistema in cui il valore del lavoro non corrisponde mai al valore che viene realmente prodotto dagli impiegati, ma va invece ad arricchire una ristretta élite, il cui più ricco possedimento è il lavoro altrui. Se Marx è marchiato con l’eterno insulto che lo giudica nostro nemico, come dovrebbero essere classificate le contraddizioni di un sistema che oggi più che mai mostra la sua ingiustizia? Come dovreste definire il capitalismo? Non è una critica al progresso, ma una sollecitazione a riflettere sul modello che domina il nostro mondo: un sistema che ha imposto un ordine economico globale fondato sul profitto a spese del benessere collettivo. Marx ha cercato di comprendere questa realtà e, soprattutto, di cambiarla, cercando una società in cui il lavoro non fosse solo più merce, ma un’attività che potesse liberare la creatività e il potenziale umano. In questa corte, spero che non si chiuderanno gli occhi davanti alla crescente disuguaglianza economica che avanza. Marx ci ha lasciato un’eredità chiara: la consapevolezza che la lotta per l’uguaglianza e per la giustizia, non è un’utopia, ma una necessità. La sua previsione di una autodistruzione del capitalismo non è impossibile: il capitalismo, per quanto potente, produce una crisi sistemica che crea un’irrefrenabile instabilità. Invito a guardare al pensiero di Marx come alla voce di chi ha osato urlare ciò che molti non vogliono per nulla ascoltare. Il problema è invece un sistema che ancora oggi, sotto le spoglie di un mercato libero, continua a produrre sfruttamento e disuguaglianza. Il vero problema è il capitalismo.

L’arringa

Dicono che il duro lavoro ripaga sempre. Semini oggi, ma non vedi subito i frutti. Devi annaffiare, togliere le erbacce, proteggere le piante dal gelo. Ogni giorno sembra uguale al precedente, ma sotto terra qualcosa cresce. E un giorno, senza quasi accorgertene, il tuo giardino esplode di vita. Eppure, l’erba del vicino è sempre più verde, no? E la mia domanda per la giuria è la seguente: ciò accade in quanto il valore del lavoro non corrisponde mai al valore che viene realmente prodotto dagli impiegati, ma va ad arricchire una parte ristretta di élite, o forse il vicino è solo più bravo a coltivare il giardino? Perché spesso la nostra visione della realtà è offuscata da quella che riteniamo sia la realtà. E, correggetemi se sbaglio signori della giuria, la legge dovrebbe basarsi sui fatti, non su semplici parole.

Parole, d’altronde, quelle che dovrebbero cambiare il mondo. Perché è stato facile per il signore Marx accusare il sistema capitalistico. Quello che non mi torna, però, è se questa critica sia sorta di sua spontanea volontà o se il suo non sia stato nient’altro che un intento di seguire “l’onda del momento” per qualche “click” in più oppure per adeguarsi ad un pensiero di comodo, che condiziona le vite e che permette di affrontare la quotidianità in una sorta di comfort zone; un modo senza dover aprire la mente e magari fare anche autocritica. Non so, egregia difesa, volete impostare la vostra strategia sul fatto che questo termine, quello dei “click” sia davvero anacronistico per l’epoca? D’altronde, per lottare contro i mulini a vento ci vuole un ombrello, lo stesso che si consiglia per coprirsi dalle critiche e dalla vergogna.

Noi tutti sogniamo una Venezia libera dal giogo straniero, eppure ci ritroviamo con un Napoleone che con Napoleone, quello vero, però, non condivide nient’altro se non il fatto di aver illuso una società. Si continua a combattere contro le disuguaglianze sociali, si persiste condannando il sistema economico sul quale si basa l’economia moderna. Nessuno, tuttavia, è disposto a smettere di gonfiare i portafogli di qualsiasi multinazionale i cui prodotti vengono manufatti in Asia, con salari ai limiti della legalità e orari di lavoro ai confini dello sfruttamento. Non credete sia facile lamentarsi delle scarpe vecchie mentre si cammina?

Sostenere che il capitalismo si autodistruggerà, o ancora meglio che siamo noi che dobbiamo cambiare il mondo è un po’ come dire che se ognuno di noi smettesse di mangiare la carne, allora non si ucciderebbero più gli animali. E, riposi in pace l’anima sua, se mia nonna avesse avuto tre gambe allora sarebbe stata una carriola. Ah, come calza a puntino questo antico adagio da trattoria. Perché, signori della giuria, la verità, per quanto può essere considerata e valutata dura, è che il mondo gira intorno a pochi semplici principi. Prima di tutto, la verità è meglio con l’ombrello. Nessuno vorrebbe condividere la pancia piena con la fame e, infine, il giardino del vicino è davvero sempre più verde. Invito, dunque, a un esame di coscienza. Il “problema”, come definito dai signori della difesa, non è la parola del signor Marx come la voce di uno che ha osato urlare in un mondo in cui non si vuole ascoltare, ma come chi, dopo aver urlato in una biblioteca, incolpa colui alla sua destra per non prendersi la responsabilità di ciò che è stato fino a quel momento fatto. E sì, dimenticavo il quarto principio. La gente non vuole ascoltare. Come può essere colpa del capitalismo questo?