Ferrara, lettere minatorie contro Lodi: Arquà tenta un patteggiamento
Per la simulazione di reato. Dubbi sull’uso del telefonino dopo il sequestro
Ferrara Una proposta di patteggiamento da esplorare per le lettere in cui si autominacciava e poi, per il resto, battaglia legale. Il processo a carico di Rossella Arquà, ex consigliera comunale della Lega ed ex braccio destro nel partito di Nicola Lodi, imputata per averlo minacciato tramite delle lettere anonime prosegue davanti al giudice Giovanni Solinas. Ieri pomeriggio si è tenuto il “secondo tempo” dell’udienza predibattimentale, al termine della quale lo stesso giudice dovrà decidere se ci sono elementi per una ragionevole previsione di condanna a carico dell’imputata e mandare tutto a un suo collega perché si tenga il processo vero e proprio. Il 23 dicembre dovrà decidere sull’ipotesi di patteggiamento che la difesa di Arquà – assistita dall’avvocato Fabio Anselmo – ha avanzato alla procura in merito all’imputazione di simulazione di reato per le lettere che la stessa Arquà ha ammesso di aver confezionato e lasciato nella sede della Lega, e nelle quali oltre a Lodi minacciava se stessa. Sulla questione specifica, l’avvocato Carlo Bergamasco, che assiste l’assessore costituitosi parte civile per le minacce, non ha opposto alcunché.
La vicenda, che comportò le rocambolesche dimissioni firmate da Arquà sui cassonetti di via Spadari poi annullate dal Consiglio di Stato, ruota intorno a otto lettere in tutto, alcune riconosciute dalla stessa imputata, indirizzate a Lodi tra i mesi di aprile e giugno del 2021 e contenenti varie frasi minacciose quali «Lodi preparati che farai una brutta fine» o «Caro Lodi e tu che apri la sede e ti vedo Arqua adesso il gioco diventa pesante occhio» e «Lodi sappiamo dove abiti Arquà adesso sappiamo dove abiti tu o soli o in compagnia addio per voi è finita».
La difesa Arquà ha anche presentato una consulenza in cui si sollevano alcuni dubbi sulla corretta tenuta del telefono cellulare della ex consigliera una volta posto sotto sequestro dalla Digos: il dispositivo sarebbe infatti stato acceso e usato non è chiaro con quale autorizzazione e a quale scopo. Arquà contesta che via stata una minaccia effettiva, avendo più volte fatto intendere che le lettere minatorie fossero state confezionate in accordo con lo stesso Lodi, che invece nega risolutamente tale circostanza.