Pieve di Cento, si tolse la vita in carcere: anche il ministero a processo
Udienza preliminare per il suicidio di Lorenzo Lodi: la famiglia chiede la citazione del Guardasigilli come responsabile civile
Pieve di Cento Anche il ministero della Giustizia verrà coinvolto nel processo a carico di un agente della Polizia penitenziaria, accusato di omicidio colposo per il suicidio in cella di Lorenzo Lodi, il 29enne che si era tolto la vita nel primo pomeriggio del 1º settembre 2021 dopo essere stato arrestato dai carabinieri per possesso di sostanze stupefacenti e di una pistola.
La famiglia, assistita dall’avvocato Antonio De Rensis, che si è costituita parte civile, ha chiesto ieri mattina al giudice dell’udienza preliminare Andrea Migliorleli la citazione del ministero della Giustizia, in persona del suo rappresentante pro tempore, ovvero il ministro Carlo Nordio, in veste di responsabile civile.
Al processo si arriva dopo l’imputazione coatta decisa dal giudice delle indagini preliminari Danilo Russo, che aveva da un lato accolto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura a favore di altri tre indagati: il medico che aveva visitato Lodi, un’ispettrice della penitenziaria e la comandante del corpo. Alla fine l’accusa è rimasta solo in capo all’agente che, secondo l’imputazione, non avrebbe rispettato un’ordine di servizio emanato specificamente per la tutela di Lodi, il numero 147 del 1º settembre del 2021 che imponeva all’agente «accurati e ripetuti controlli non oltre venti minuti» sulle condizioni del detenuto, classificato dal medico del carcere come a rischio suicidio con il suggerimento di applicare il regime chiamato di “grande sorveglianza”, che prevede, tra le altre cose, controlli molto ravvicinati. Va detto che in una precedente fase del procedimento era emerso che forse lo stesso agente non avesse ricevuto per tempo l’ordine di servizio. Il tema verrà ovviamente esplorato ora davanti al giudice dell’udienza preliminare e, nel caso, in giudizio ordinario.
La richiesta di archiviazione, molto corposa e firmata anche dal procuratore capo, aveva in sostanza scagionato tutti gli indagati, evidenziando la presenza di un buco normativo e regolamentare, in cui sarebbe caduta la vicenda, con assenza di responsabilità codificate in capo agli indagati. Alla richiesta di archiviazione si era opposta la famiglia e il giudice Russo ha tenuto la decisione in riserva per molti mesi prima di arrivare all’imputazione coatta del solo agente (che è difeso dall’avvocato Alberto Bova), identificando in una sua mancanza un possibile nesso causale con il verificarsi dell’evento che avrebbe dovuto evitare, proprio il suicidio di Lodi.
Una vicenda in cui sicuramente sembra essere mancata un po’ di attenzione in tutta la catena di eventi. I carabinieri che lo arrestarono intervennero in realtà su chiamata della sua ex compagna e di sua madre perché l’uomo aveva manifestato proprio intenti suicidi. Fu lui, dopo, a indicare ai militari la presenza della droga e il possesso della pistola, e venne arrestato e accompagnato in carcere. Qui venne visitato dal medico, che lo aveva individuato come paziente a rischio anche se in quel momento non sembrava immediatamente intenzionato a togliersi la vita. Il successivo ordine di servizio della comandante, come detto, imponeva un passaggio di controllo costante, che probabilmente avrebbe potuto impedire al ragazzo di organizzare il suo suicidio con quel che aveva trovato in cella. Rimase invece da solo dalle 11.30 del mattino fino alle 14.50, orario nel quale è stato trovato privo di vita.