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Il caso

Omicidio Bergamini, le ipotesi più infamanti

Francesco Dondi
Omicidio Bergamini, le ipotesi più infamanti

Smontate le insinuazioni sui legami con la ‘ndrangheta, trasporto di droga e calcioscommesse

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Argenta Ipotesi “inconsistenti e fallaci”. Lo dicono chiaramente i giudici della Corte d’Assise di Cosenza nel motivare la sentenza di condanna a 16 anni per Isabella Internò, colpevole dell’omicidio di Denis Bergamini. Il tribunale certifica l’enorme lavoro investigativo coordinato dalla Procura e alimentato dalle parti civili, dando loro atto di aver esplorato ogni possibile alternativa rispetto a quella del delitto per motivi d’onore. E sono quattro le piste approcciate da chi ha indagato. Si parte dall’acquisto della vettura Maserati, che inizialmente sembrava essere stato imposto dalla malavita cosentina a cui Bergamini - si asseriva - fosse collegato. Eppure il bolide venne acquistato ad “un prezzo congruo” ha dato esito il dibattimento in tribunale.

Ci sono poi le ipotesi più infamanti, quelle legate al coinvolgimento della ’ndrangheta, del traffico di droga o del calcioscomesse. Per smontare la suggestione dei legami con la criminalità organizzata sono stati chiamati a testimoniare anche vari collaboratori di giustizia tra cui Franco Garofalo, ai tempi legato al clan Perna-Pranno. «Nessuno credette al suicidio», ha sostanzialmente detto Garofalo nell’udienza in cui ha raccontato anche alcune attività estorsive al Cosenza Calcio a cui però il clan garantiva la sicurezza per i tesserati, calciatori compresi. E proprio per quello la ’ndrangheta si interessò di capire qualcosa sulla morte di Bergamini sia a tutela della propria credibilità sia per indagare su un altro criminale, Antonio Paese, che aveva provveduto alla vendita della famosa Maserati. Gli accertamenti furono un vicolo cieco, nessun collegamento è mai emerso né tantomeno un omicidio sarebbe potuto essere eseguito senza il nullaosta delle famiglie ’ndranghetiste.

Del resto anche le altre ipotesi collegate alla morte non hanno portato ad alcun riscontro. La questione dello spaccio di droga viene considerata “una barzelletta” da parte di Garofalo alla pari di un presunto coinvolgimento nel calcioscommesse su indicazione della criminalità organizzata cosentina.

Analoghe valutazioni sono state fatte anche da Francesco Pino, altro collaboratore di giustizia, ai tempi capo del gruppo Pino. Ha raccontato di essersi interessato a due partite del Cosenza per evitarne la retrocessione in C, senza però mai avere conferme che fosse una prassi quella di comprare o vendere gare. Se però si fosse scoperto quel modello operativo allora il Cosenza e i suoi giocatori avrebbero rischiato la squalifica ed ecco perché la strada del suicidio “soddisfaceva tutti”.

A completare il quadro dei testimoni di giustizia chiamati a parlare del caso Bergamini c’è la deposizione di Mario Pranno, accusato di essere colui che aveva insinuato il coinvolgimento di Antonio Paese nel piano criminale. Pranno ha escluso da subito il coinvolgimento della criminalità, confermando invece come la malavita ruotasse intorno al Cosenza per la compravendita di partite e che vi fossero giocatori esposti a usura. Ma non è mai andato oltre quelle generiche dichiarazioni. Ancora più incisivo è stato Giuseppe Vitelli, collaboratore di giustizia dal 1996, che escludendo un ruolo della criminalità cosentina ha però da subito parlato di una scomparsa dovuta a questioni di natura personale e che, per quanto a sua conoscenza, si trattava di omicidio. Neppure la strada di Bergamini trasportatore di droga ha mai trovato alcun riscontro. La Maserati, infatti, non aveva spazi adeguati per creare dei doppifondo come certificato anche dai Ris di Messina e i viaggi di Denis avvenivano sempre in pullman con la squadra e mai in auto in autonomia come del resto confermato anche dall’allora addetto stampa del Cosenza.