Copparo, solo 150 esodi volontari dalla Berco
L’obiettivo dei 400 esuberi incentivati proposto dall’azienda di Copparo resta lontano. I sindacati chiedono l’intervento del ministero per salvaguardare l’occupazione
Copparo Alla fine i numeri hanno confermato le previsioni. Allo scadere dei termini – ieri – per l’adesione alle uscite incentivate, sono stati 150 (con un margine per eccesso o per difetto di circa cinque unità) i lavoratori Berco che hanno accettato i 57mila euro lordi proposti dall’azienda per lasciare volontariamente il posto di lavoro. Una scelta che ha interessato in gran parte la fascia d’età più giovane del personale – quella con maggiori speranze di trovare un’alternativa – ma non è mancata anche una quota di addetti che lavoravano in Berco da parecchio tempo, destabilizzati da una situazione sempre più precaria e con alle spalle una storia attraversata da periodiche crisi che ha finito per sfibrarli. Tirando le somme, la partita degli esodi volontari si è conclusa arrivando al 35-40% dell’obiettivo delle 400 unità, e restano dunque 250 persone su cui ora si sta concentrando la trattativa intrapresa dai sindacati in difesa dell’occupazione.
Martedì 28 gennaio è stato fissato un nuovo incontro al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), fortemente voluto dalle organizzazioni sindacali e a cui prenderanno parte i rappresentanti provinciali e nazionali dei sindacati, i vertici aziendali e funzionari del dicastero, se non lo stesso ministro Urso. Il tutto – è l’auspicio e la condizione indispensabile – in assenza nel frattempo di atti unilaterali da parte dell’azienda, ovvero l’apertura di una procedura di licenziamento collettivo. Dopo la presentazione, il 9 gennaio, del piano industriale 2025-2027, i sindacati avevano sottolineato la necessità, dopo la scadenza del 16 gennaio, di «ricercare, anche con il Governo, tutte le soluzioni utili a far fronte a un piano industriale che oltre ai propositi ha bisogno di una forte struttura economica a cui l’azienda, da sola, non riesce a far fronte». E che, soprattutto, non scioglieva il nodo della tutela occupazionale. Da qui si dovrà dunque ripartire al Tavolo ministeriale del 28 gennaio.
Uno dei ragionamenti messi in campo dai sindacati riguarda il progressivo scivolamento del nostro territorio nelle aree di crisi industriale complessa. Una provincia, si ricorda, che negli ultimi vent’anni ha registrato un gran numero di chiusure di aziende metalmeccaniche e artigianali, con l’intero settore che accusa una crescente sofferenza. Inserire – o avvicinare – il Ferrarese tra le aree industriali a crisi complessa significherebbe ottenere condizioni più favorevoli all’erogazione di ammortizzatori sociali con deroghe particolari, con durate diverse e un differente impatto economico sull’azienda. Altri margini di trattativa riguardano la rimodulazione del contratto aziendale, sempre finalizzato a trovare soluzioni meno dispendiose per l’azienda a beneficio del mantenimento dei posti di lavoro. Si sta dunque cercando di mettere in fila tutto quanto è stato compiuto in questi mesi di lunga trattativa da quando, a ottobre, è deflagrata la crisi Berco. Una crisi che, tra le varie ipotesi circolate, sembrava poter trovare sbocco nell’intervento di un acquirente. Su questo punto, proprio all’ultimo incontro con i sindacati del 9 gennaio, l’amministratore delegato è stato chiaro: a oggi la Berco non è in vendita.