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Ucraini a Ferrara a tre anni dalla guerra: «Ricostruire la vita qui»

Francesco Gazzuola
Ucraini a Ferrara a tre anni dalla guerra: «Ricostruire la vita qui»

Prosegue l’integrazione dei mille rifugiati. E c’è chi vede in città il proprio futuro

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Ferrara Sono trascorsi ormai tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina: un attacco che ha portato a galla e acceso i riflettori su uno scontro, politico e militare, che andava avanti almeno dal 2014. Tensioni e distruzione sono proseguiti per mesi e, come spesso accade, il conflitto si è prolungato così a lungo da scivolare ai margini dell’informazione e dell’interesse pubblico. Uno scontro che torna ciclicamente alla ribalta della cronaca in occasione delle periodiche esplosioni che illuminano il cielo ucraino e distruggono città. L’ultima è proprio di ieri, quando un raid aereo su Zaporizhzhia ha provocato almeno due morti e altre 24 persone sono rimaste ferite. Anche l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump ha riacceso i riflettori sul tema: il nuovo presidente americano ha infatti minacciato di imporre dazi e sanzioni alla Russia se non ci sarà un accordo a breve con l’Ucraina, sottolineando che è «importantissimo fermare queste morti» e ancora che «milioni di russi e ucraini dovranno essere liberati da questa guerra».

Intanto c’è chi dalla guerra è scappato tanto tempo fa, trovando rifugio in una parte di Europa che guarda lo scontro da lontano e, da altrettanto lontano, invia armi e munizioni a Kiev affinché non crolli sotto i colpi russi e così facendo “torni” la pace. Anche Ferrara ha ospitato molte persone che cercavano un riparo dopo la fuga dal conflitto russo-ucraino: al 1 gennaio 2024 il numero di cittadini ucraini richiedenti il permesso di protezione temporanea e domiciliati sul territorio comunale era pari a 1.181 persone, di cui 775 maggiorenni. Rifugiati che «sono arrivati proprio qui perché avevano parenti oppure hanno seguito il consiglio di chi c’era già stato», spiega Elena Brina, coordinatrice del Centro di accoglienza straordinaria di Caritas. Oggi, l’ente della Cei dà un tetto a 30-40 persone ucraine, domiciliate nei vari appartamenti cittadini. Gli aiuti non mancano e tra questi ci sono oltre 500mila euro dal Comune di Ferrara per il rafforzamento dei servizi sociali. «Dopo tre anni dalla guerra e dal loro arrivo, molti richiedenti asilo pensano di restare in Italia – continua Elena Brina –. Quasi tutti lavorano, a parte chi è impossibilitato da problematiche sanitarie». Altre persone sono invece tornate in Ucraina: «Molto spesso il rientro è giustificato dalla volontà di ricongiungersi con la parte maschile della famiglia, dal momento che in diverse occasioni sono arrivate qui soltanto le mamme con i figli – chiarisce la coordinatrice del Cas Caritas Ferrara insieme a Zinaida Ciubotaru, operatrice che si occupa dell’accoglienza –. Diversamente, è successo che fosse il marito, inizialmente trattenuto per prestare servizio militare, a recarsi in Italia».

Per i profughi di guerra l’integrazione spesso diventa un ostacolo in cui si inciampa. Coloro che sono arrivati dall’Ucraina, però, «non hanno incontrato grossi problemi, entrando invece in contatto con la sensibilità che Ferrara ha saputo dimostrare. Qui si trovano bene – proseguono Elena e Zinaida – perché hanno trovato anche più servizi e una maggiore attenzione alle fragilità». Ad aiutare «l’integrazione è anche la scuola dell’obbligo: i bambini entrano in contatto tra di loro e questo permette alle famiglie di conoscersi». Alcuni dei bimbi ucraini «hanno avuto difficoltà ad integrarsi a scuola perché non parlano la nostra lingua, quindi comunicano con quelli della loro nazione. Altri ci hanno messo più tempo: d’altronde non è stata una loro scelta e hanno lasciato là i loro amici». Subentrano quindi il pensiero e la nostalgia di casa che accompagnano tanto i più piccoli quanto gli adulti. Ma c’è un futuro da guardare negli occhi e là, tra missili, raid ed esplosioni, vederlo sembra più difficile: «Le persone arrivate qui a Ferrara si tengono sempre impegnate tra corsi di italiano, terza media e patente. Svolgono attività in autonomia e creano quei tasselli che permettano di ricostruire la loro vita».