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Il caso

La mamma della ragazzina adescata dal prof: “Lui è ancora a scuola e mia figlia lo vede tutti i giorni”

Daniele Oppo
La mamma della ragazzina adescata dal prof: “Lui è ancora a scuola e mia figlia lo vede tutti i giorni”

Parla la madre della bambina oggetto della morbosità di un insegnante. La scoperta della chat, la denuncia e l’indagine per adescamento di minore

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Ferrara «Lui deve pagare per quello che ha fatto, mia figlia non è più la bambina di prima, sto male anche io come madre. Deve essere mandato via da qualsiasi scuola o luogo dove ci siano dei minori, come ha fatto a mia figlia può farlo a qualsiasi bambina o bambino, ragazzina o ragazzino». La voce è leggermente tremula al telefono, ma le sue parole sono ferme. A parlare è la madre della bambina, studentessa di una scuola media della provincia, oggetto delle attenzioni morbose di uno dei suoi professori. C’è consapevolezza, quella di aver interrotto per tempo – o quantomeno prima che si producessero effetti ancora più dannosi – una situazione che non avrebbe mai dovuto verificarsi. C’è forse un remoto senso di colpa, quello che qualunque genitore probabilmente sperimenterebbe, anche se di colpe non ce ne sono, se non quelle di chi, l’insegnante, ha approfittato della sua posizione per inserirsi nelle fragilità e nelle ingenuità di una bambina, carpendone e tradendone la fiducia, corrompendo i suoi sentimenti.

Diecimilaseicentosessantuno (10.661) messaggi su Whatsapp da inizio novembre a metà dicembre scorso, trovati tutti nel suo telefonino, perché in quello della bambina erano stati cancellati. Toni poco equivocabili, come se fosse un innamorato, se non fosse che lui ha 47 anni e lei, sua alunna, è nella fase della pubertà. Messaggi pieni di vezzeggiativi, di complimenti per il suo aspetto fisico, di riferimenti sessuali, di scorrettezze per creare un rapporto privilegiato (le passava le verifiche del giorno dopo con le soluzioni) di falsità autoassolutorie, come quando le dava della donna matura nel fisico e nel cervello. Di autocoscienza e, forse, di preparazione, come quando, parlando di un loro possibile e immaginario rapporto sessuale, per vie laterali le faceva capire la necessità del silenzio, perché se no lui sarebbe diventato un mostro per tutti. Per ora è indagato per adescamento dalla Procura di Bologna, che ha chiuso le indagini in un amen dopo aver estrapolato le conversazioni e i file dai dispositivi informatici.

Signora, cosa la preoccupa ora, a indagine chiusa? «Purtroppo lui è ancora a scuola, ha mia figlia in classe tutti i giorni. Doveva già essere tolto per quanto mi riguarda, mia figlia lo vede tutti i giorni. Non le fa bene. Io non mi fido di lasciarla andare a scuola, sono sempre preoccupata».

Come ha scoperto quel che stava accadendo? «Mia sorella, che è un po’ più grande di lei, mi ha messo la pulce nell’orecchio e un giorno che mia figlia era da un’amica e non mi rispondeva al telefono quando sono andata a prenderla ho preso la palla al balzo e glie l’ho preso».

Ci ha guardato dentro? «All’inizio messo in borsa, poi dopo ho detto “ci guardo e apro WhatsApp e vedo proprio la prima chat in alto con il prof. L’ho aperta e ho trovato il mondo. Ho fatto 120 screenshot, ci ho messo quattro o cinque giorni per leggerli tutti perché non riuscivo. Ma se non avessi preso il telefono a mia figlia quel giorno, chissà cosa sarebbe accaduto».

Aveva avuto delle avvisaglie che ha poi ricollegato a quanto stava accadendo? «Parlava sempre di questo professore buonissimo e bravissimo che la trattava bene. Ma lei va bene in tutte le materie e mi sono chiesta perché avrebbe dovuto trattarla male. Veniva a casa e parlava sempre di lui, si scriveva il suo nome sul braccio, finché un giorno è venuta a casa che aveva un profumo da uomo addosso. Le ho chiesto cosa era e mi ha detto che era il profumo del prof: le aveva regalato un campioncino. Sembra che le avesse donato anche un anello, che poi ha ridato indietro, lo ha visto la nonna, non io, a me non lo ha mai fatto vedere».

Le chat? Le aveva mai notate? «Una sera stavamo cenando e le avevo appena chiesto di mettere giù il telefono, sono passata dietro di lei e mentre lo stava bloccando ho visto un messaggio su WhatsApp dal professore. Le ho chiesto perché le scriveva a quell’ora e lei mi ha risposto che le aveva solo dato il buon appetito. Ho detto che non andava bene ma non ho controllato il telefono. Finché un sabato sera, mia sorella mi ha messo la pulce nell’orecchio. Mi ha raccontato che scrivevano. Mia figlia non mi ha mai detto niente perché secondo lei era una cosa normale».

Non le hai mai controllato il cellulare? «Le ho sempre controllato il telefono ma non le ho mai trovato niente prima. Poi tutti quei 10mila messaggi che hanno trovato, lei non li aveva».

Ha mai cercato un confronto con il professore? «Ai colloqui prima di natale non sono andata da lui, perché stavo male. È andato il mio compagno».

E lei, signora, ora come sta? «È difficile, sto molto male, faccio fatica anche ad andare a lavorare perché so che lei è a scuola e che anche lui è a scuola. Non la vivo bene».