Il progetto HoPE rilancia ancora, maratona delle invenzioni a Ferrara
Fino a domenica studenti del liceo scientifico Roiti e altri istituti realizzano creazioni. Gran finale aperto alla cittadinanza al Polo di via Saragat: esperienza irripetibile
Ferrara Una serra con sensori per rilevare la temperatura e l’umidità, una pompa che immette acqua o aria a seconda delle necessità, una chitarra senza corde, un aerostato, una spada di gommapiuma coperta da una speciale rete in rame e un’armatura che, colpita, registra il colpo e la quantità di vita che rimane a chi l’indossa, un Castello estense con il suo fossato allagato, il tutto con un drone che svolazza qua e là. Non è proprio un parco divertimenti, eppure l’allegria non manca agli studenti del liceo scientifico Roiti, mentre ideano, sviluppano (con qualche discussione anche accesa) e creano le loro originalissime pensate. È questo, a grandi linee, il frutto e il senso del progetto HoPE, acronimo di Hands on Physics Experience, frutto della collaborazione tra la sezione di Ferrara dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) diretto da Roberto Calabrese, il Dipartimento di Fisica dell’Università di Ferrara, il liceo cittadino e l’Edgerton Center del Massachusetts Institute of Technology (il Mit di Boston). CLICCA QUI per il video.
Ebbene, è in corso la settimana intensiva del progetto HoPE e nella succursale di via Azzo Novello è tutto un lavorio incessante, sotto la supervisione dei 13 (sì, il doppio del solito) arrivati dagli Usa, sotto la guida del professor Edward Moriarty. Il numero degli americani, perlopiù studenti del Mit, non è la sola novità: la settimana si concluderà con una maratona in cui i ragazzi - da oggi pomeriggio a domenica mattina, in un evento aperto alle scuole che hanno aderito (liceo Ariosto, Iti Copernico, ma anche l’Iti di Rovigo e i licei scientifici della stessa Rovigo e di Bologna) - dovranno ideare e realizzare un progetto.Poi, gran finale domenica aperto alla cittadinanza al Polo scientifico tecnologico in via Saragat, 1, dalle 15 alle 18.30, per scoprire quest’affascinante mondo. HoPE è diventato progetto pilota dell’Infn e si avvale dei mentori scolastici, tre dei quali sono coordinatori. Fra questi ultimi c’è Mariam Regragui, genitori marocchini di Marrakech («il cognome deriva da una delle tribù più importanti», dice inorgoglita), lei ferrarese "vista mondo", al quinto anno dell’indirizzo di scienza applicata: «Al terzo anno - racconta - mi sono iscritta alla selezione per partecipare al progetto, sono entrata, ho conosciuto Ed (sì, il prof si chiama per nome ed è il più scanzonato di tutti, salvo poi regalare perle di saggezza, ndr) e ho partecipato al progetto per costruire microfoni bineurali proprio su suo consiglio. Alla fine dell’anno mi è stato proposto di andare a Boston, negli Usa, e lì abbiamo costruito una mascotte interattiva che ricrea le espressioni facciali. Tornata in Italia mi hanno chiesto di fare la mentore, una sorta di guida, ma che non deve dare tutte le risposte...».
Sì, perché il metodo è quello della sperimentazione, dell’autoapprendimento. Ma intanto la nostra guida ha pure continuato a ideare e creare: «Ho fatto un’arpa laser, collaborando con un altro ragazzo-mentore con capacità e abilità diverse dalle mie». E a fine anno, ecco due belle chance: «Mi hanno chiesto di fare la coordinatrice l’anno seguente e tornare al Mit da mentore». E qui la costruzione dell’aereo che lanciava gavettoni...Al di là del cosa, è il come la ragazza maturanda racconta, sono gli occhi che brillano, la parlantina incontenibile, il sorriso... Sono queste le esperienze che fanno crescere, sono questi i metodi d’apprendere che lasciano qualcosa: «Insegniamo a ragazzi che faranno professioni oggi inesistenti, che non immaginiamo: possiamo solo insegnargli ad apprendere da sé e dalle loro esperienze», chiosa la professoressa Trevissoi.