Caso Cidas a Ferrara, parla il dipendente: “Mi sono sentito privato della mia libertà”
Il presidente della cooperativa Daniele Bertarelli a processo. La testimonianza di Daniel Servelli sulla sanzioni dopo le critiche rivolte all’ex assessore Nicola Lodi
Ferrara Che abbia ragione o no, Daniel Servelli ha settato la barra a dritta: qualcuno ha provato a limitare la sua libertà di parola, è questo è per lui inaccettabile. E che a farlo, dalla sua prospettiva, siano stati l’ex vicesindaco e assessore Nicola Lodi e il suo datore di lavoro alla Cidas, con le loro rispettive “sfere di influenza”, non gli fa tenere il capo chinato. Quell’intromissione – divenuta un provvedimento disciplinare e poi un colloquio con il presidente – è oggi una condanna già ricevuta a metà dicembre dall’ex vicesindaco Lodi (che per questo è stato sospeso in base alla legge Severino fino alle recenti dimissioni) e un processo per Daniele Bertarelli (difeso dall’avvocato Simone Trombetti), presidente della cooperativa Cidas, della quale Servelli è socio e dipendete. E proprio ieri è iniziata l’istruttoria dibattimentale del processo che vede Bertarelli accusato del reato di induzione indebita. Lui con le vesti de “l’indotto”, mentre Lodi aveva quella dell’induttore: ovvero l’aver spinto la cooperativa a sanzionare Servelli per le sue posizioni molto critiche nei suoi confronti – espresse anche in maniera colorita, al punto da arrivare a una condanna definitiva per diffamazione per un commento su Facebook (la pena è stata una multa) – lasciando intendere che in assenza di un’azione in tal senso i rapporti tra Comune e cooperativa rischiavano di incrinarsi. Il tutto per iscritto con due email.
Servelli – che è parte civile, assistito dall’avvocata Gaia Fabrizia Righi – è stato sentito ieri come testimone e ha risposto sempre con molta serenità e chiarezza. «Mi sono sentito privato della mia libertà», ha detto rispondendo a una domanda del pm Ciro Alberto Savino, soprattutto a proposito del colloquio con Bertarelli avuto dopo un post su Facebook sempre riferito all’amministratore comunale, da lui registrato con il telefonino perché «sentivo odore di Nicola Lodi nell’aria. Secondo me c’era il suo zampino e volevo vedere quanto era grande e la registrazione mostra che era abbastanza ingombrante». Il presidente della cooperativa lo aveva invitato a cercare di evitare di commentare le notizie che riguardavano il vicesindaco – siamo nel 2020 – di «fare finta che il vicesindaco non esiste», perché con quelle critiche «metti in difficoltà il rapporto con il Comune. Ma una coop di 1.500 dipendenti viene messa in difficoltà da Daniel Servelli?». «Mi è stato consigliato di fare commenti più tecnici, ma anche di lasciar perdere», ha detto ancora, insistendo spesso sull’essersi sentito limitato nella possibilità di esprimersi «come Daniel Servelli», come privato cittadino prima che dipendente e socio di Cidas (per la difesa, questo è apparso chiaro, Servelli venne richiamato dal presidente come socio a un comportamento che non andasse a detrimento della coop). Poi una frase più personale – «Mi disse che non sono in cooperativa per lo Spirito Santo» – e forse ambigua, al punto che Servelli, come riferito, ha temuto rappresaglie non tanto per sé, quanto sulla madre, assunta a tempo determinato. E questo in un contesto in cui il dipendete ha iniziato ad avere altre sensazioni: «Ho pensato di essere controllato, al lavoro e a casa. Non ero tranquillo, il primo periodo, non è bello finire nel tritacarne dei social, essere preso di mira dal politico di turno». Poi «avevo il terrore di essere richiamato dal presidente a ogni post». Prossima udienza il 2 luglio.