Schiava per 13 anni, suocero e cognati finiranno a processo
Dopo il matrimonio combinato, la coppia si era trasferita a Ferrara con i parenti di lui. La donna è stata maltrattata e umiliata
Ferrara Andranno a processo il 9 ottobre con l’accusa di maltrattamenti aggravati il suocero e i due cognati della donna pakistana che dopo un matrimonio combinato nel suo Paese, era stata ridotta in uno stato di totale sottomissione dai suoi familiari. Gli altri due coimputati, il marito e la suocera, risultano invece irreperibili e per loro ieri all’udienza preliminare il giudice ha disposto il non luogo a procedere almeno fino a quando non saranno rintracciati.
La donna, oggi trentenne, aveva appena diciassette anni quando fu costretta alle nozze combinate in Pakistan con un uomo che fin da subito, insieme ai suoi famigliari, le aveva imposto una condizione di servitù, fatta di abusi, insulti e controllo implacabile; una condizione che era proseguita anche quando la coppia con suoceri e cognati al seguito si era trasferita in Italia. Un annullamento della sua persona che i parenti hanno perpetrato per anni, senza però riuscire a piegare del tutto la sua volontà. Almeno non di fronte all’ultimo schiaffo quando il marito, approfittando di una visita di lei ai genitori in Pakistan, le voleva vietare di tornare in Italia per potersi sposare con l’amante. Un divieto esteso anche alla loro figlia, per la quale era già pronto un matrimonio combinato. Il figlio maschio, invece, sarebbe rimasto in Italia per essere cresciuto dalla famiglia paterna. Di fronte alla minaccia di perdere i figli, la vittima si era rivolta al Centro Donna Giustizia ricevendo supporto psicologico e legale per sporgere denuncia, assistita dall’avvocata Sara Bruno.
Un atto di coraggio che ha messo fine a un’esistenza priva di diritti. In casa non era nessuno, la sua volontà non contava nulla e non poteva esprimere opinioni. Doveva solo servire: cucinare per tutti, lavare i panni e pulire senza nessun aiuto, nemmeno durante le gravidanze. Tutti i giorni erano offese, a ogni svista era costretta a chiedere perdono in ginocchio, il suo bagno malridotto si trovava fuori di casa e lei stessa dormiva in uno sgabuzzino senza porta. A volte gli ordini avevano il solo scopo di umiliarla, come quando le veniva chiesto di portare un bicchiere d’acqua a chi già ne aveva uno in mano. Lontana dai suoi cari (e sorvegliata quando li chiamava), senza punti di riferimento, la donna per lungo tempo ha sopportato. Finché l’ombra del suo personale inferno si è allungata anche sui figli.