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Il Comitato per non dimenticare Federico Aldrovandi: “Ferrara dovrebbe intitolargli un luogo”

Stefania Andreotti
Il Comitato per non dimenticare Federico Aldrovandi: “Ferrara dovrebbe intitolargli un luogo”

È stato costituito per organizzare dibattiti, eventi, concerti e un convegno nazionale nel ventesimo anniversario della sua morte

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Ferrara Il primo incontro pubblico del neocostituito Comitato per Federico Aldrovandi 2005-2025 è avvenuto proprio davanti ad un gruppo di ragazze e ragazzi in gran parte della stessa età che aveva Aldro quando è morto durante un controllo di polizia, vent’anni fa. Giovani che all’epoca non erano ancora nati, a cui gli amici di Federico, nel ventesimo anniversario dalla scomparsa, sono tornati a raccontare quella brutta pagina di storia locale che ha segnato la città ed è diventata un caso giudiziario tra i più dibattuti d’Italia in epoca recente.

«Non se ne può più di sentire parlare di questa vicenda». «Lasciate stare i morti». «Il caso è chiuso, i poliziotti hanno pagato, finiamola qui». «Avete avuto giustizia, adesso basta». Sono i commenti che già negli ultimi anni hanno accompagnato le iniziative organizzate in memoria del giovane ferrarese ucciso «per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi» da quattro agenti di polizia. Dopo la tempesta degli anni prima e durante il lungo processo, solo la Curva Ovest della Spal non ha mai abbassato il bandierone con il volto di Federico, mentre il resto della città ha iniziato a reclamare il ritorno alla quiete. Perché allora tornare a ricordare questa storia?

Lo spiega Andrea Boldrini, che in quel 25 settembre 2005 era stato con Federico fino ad un attimo prima del suo fatale incontro con le due volanti, e che oggi, operaio e padre di famiglia, si trova a parlare davanti a studenti che potrebbero essere suoi figli, ma anche suoi coetanei in quel momento in cui la sua vita e quella di tutte le persone coinvolte è cambiata per sempre. L’occasione è l’incontro dal titolo “Repressione. Dalle strade alle scuole”, organizzato da diversi collettivi di studenti di secondarie e università, assieme a Comitato per Federico Aldrovandi, Ferrara per la Palestina e Centro Sociale La Resistenza. Il tema trattato è stato l’analisi degli aspetti ritenuti più critici del Ddl Sicurezza, e la preoccupazione rispetto agli abusi di potere nelle strade, nelle scuole e nelle carceri. Decine di giovani sono intervenuti, portando esperienze personali di discriminazione, marginalizzazione e una diffusa preoccupazione per la sempre minore disponibilità di spazi aggregativi in città. «L’anno dopo la sua uccisione, la modalità immediata e spontanea di stare assieme e riunire le persone che si erano avvicinate alla nostra richiesta di giustizia è stata il Comitato “Verità per Aldro”, con il quale abbiamo convocato il primo corteo nazionale a Ferrara, al quale hanno aderito 8mila persone da tutta Italia per chiedere un processo contro gli agenti responsabili della sua morte. La naturale evoluzione organizzativa è stata poi l’Associazione “Federico Aldrovandi” con lo scopo di sensibilizzare e promuovere l’informazione sugli abusi di potere delle forze dell’ordine e di qualunque soggetto in posizione dominante. Mi chiedo se alla luce del nuovo Ddl tutto questo sarebbe oggi possibile. Se già all’epoca manifestare contro lo Stato, di cui le forze di polizia erano rappresentanti, aveva comportato enormi difficoltà, non so immaginare oggi cosa potrebbe succedere. Un’idea me la posso fare seguendo casi come quello di Rami Elgaml, il diciannovenne di origine egiziana passeggero di uno scooter in fuga da un posto di blocco, inseguito e speronato dai Carabinieri finché è caduto, morendo. Proprio in questi giorni la perizia della procura milanese ha assolto di fatto gli agenti, ritenendo l’inseguimento “conforme alle procedure”».

Negli anni l’Associazione ha organizzato e sostenuto iniziative finalizzate alla promozione e al rispetto della legalità e del principio di uguaglianza di fronte alla legge, creando una rete tra i famigliari delle vittime, da Cucchi a Uva, da Bianzino a Rasman. Ha inoltre operato per «tutelare la memoria di Federico Aldrovandi, per evitare offese e strumentalizzazioni».

Fino al 2014 la presidente è stata Patrizia Moretti, mamma di Federico, che poi ha passato il testimone a Boldrini: «Abbiamo partecipato ad incontri, dibattiti, interviste da Nord a Sud, organizzato eventi e concerti per celebrare il compleanno di Federico e il giorno della sua scomparsa. Poi anche noi amici abbiamo sentito la necessità di ritirarci, perché le nostre vite adulte richiedevano maggiori energie, le famiglie e le esperienze lavorative che nel tempo abbiamo costruito avevano bisogno di presenza ed impegno, e senza mai dimenticare Federico, abbiamo avuto bisogno di vivere questa vicenda in una dimensione più privata e meno pubblica. Quest’anno però, d’accordo con i genitori Patrizia e Lino, abbiamo deciso di tornare ad unire le nostre forze e quelle della società civile che ci ha sempre sostenuto. Non possiamo tacere ancora, anche per quello che vediamo attorno a noi, dove casi come quello di Federico si ripetono e ci riportano a quei tempi. I metodi delle forze dell’ordine sono sempre gli stessi, con famiglie lasciate sole davanti a cause che per esperienza personale ti mettono contro tutto il mondo, perché andare contro lo Stato è qualcosa di enorme. E hai bisogno che la magistratura, la stampa e i cittadini siano liberi di fare il loro lavoro, esprimersi e manifestare, ma la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere e i vari decreti relativi a giornalisti e sicurezza, vanno in un’altra direzione». Tra le iniziative cui il Comitato sta lavorando ci sono dibattiti, concerti, eventi sportivi, un incontro nazionale per il 25 settembre con i giornalisti che si sono occupati del caso, la partecipazione ad attività nelle scuole, e la volontà di intitolare un luogo della città alla memoria di Federico: «Lo hanno fatto in altre città, è paradossale che qui da noi non sia avvenuto».