Omicidio Big Town, tutti i dubbi psichiatrici: “Di Gaetano scivolato nel baratro, la sua fu una furia distruttiva”
Sentiti i consulenti psichiatrici di procura e difese. Discusso il grado di capacità di intendere e volere per gli imputati Vito Mauro Di Gaetano e il padre Giuseppe
Ferrara «Una reazione emotiva devastante» davanti a uno stato percepito come di grave pericolo, che ha portato a una «furia distruttiva» realizzatasi in «un atto automatico»: 38 colpi di lucchetto da quasi un chilogrammo, tutti nella stessa zona della testa di Davide Buzzi, fracassandogliela. Pochi, interminabili secondi nei quali, guardando il video della telecamera di sorveglianza installata all’interno del bar Big Town, si sente il macabro ritmo dei colpi scagliati da Vito Mauro Di Gaetano contro quella che era stata una minaccia ma che era un uomo ormai inerme. Ma il barista, dice il consulente psichiatrico Luciano Finotti, ingaggiato dalla sua difesa (avvocato Michele Ciaccia) e sentito ieri mattina dalla corte d’assise chiamata a giudicare Di Gaetano e suo padre Giuseppe per omicidio aggravato, «piano, piano è scivolato nel baratro ed è diventato incapace di intendere e volere». Una specificazione che aggiunge qualcosa a quanto contenuto nella consulenza, in cui lo psichiatra parla di capacità «grandemente scemata», per entrambi gli imputati.
Una incapacità derivante non da una patologia psichiatrica, bensì dallo stato neuro-fisiologico generatosi dal forte stato d’ansia accumulato e dall’aver percepito un pericolo grave, dell’inefficacia dei tentativi di mediazione e dunque dalla convinzione, in quello stato, di non avere a disposizione una delle due opzioni possibili, quella di scappare. E, allora, il suo istinto ha fatto scattare l’interruttore del combattimento. E lo ha fatto in un momento preciso: quando, nel punto cieco della telecamera, Buzzi gli avrebbe dato un ceffone, facendogli perdere gli occhiali che indossava: «Il contatto fisico – ha spiegato Finotti – rappresenta la rottura della comfort zone, nel momento in cui vengo toccato, mi devo difendere». E una volta scattato, «ormai era programmato per distruggere, la sua libertà non c’era più completamente». Ed ecco la lotta: prima le bottiglie scagliate, poi il massacro col lucchetto.
In questo, il consulente di parte è sulla stessa linea di quello della Procura, lo psichiatra Roberto Zanfini, che in Vito Mauro Di Gaetano ha riscontrato solo una incapacità parziale almeno nella prima parte dell’azione “distruttiva”. Anche lui ha parlato del contatto fisico come momento che ha azionato la molla che la paura e l’ansia accumulata nell’ultima settimana (con la prima minaccia di Buzzi, il suo passaggio in moto con la promessa di tornare e il suo effettivo e minaccioso e violento arrivo insieme a Lorenzo Piccinini) avevano messo in tensione. Quella di Zanfini è stata una consulenza molto discussa ieri, anche dalla stessa pm Barbara Cavallo che, in tutta evidenza, non appare convinta dalle conclusioni. Per lo specialista, Di Gaetano avrebbe recuperato lucidità una volta finita la prima fase, quando si è rialzato e ha colpito Piccinini e poi, sopratutto, quando ha finito il lavoro con Buzzi, con altri cinque colpi. In questa fase, la paura sarebbe stata sostituita dalla rabbia. Per Finotti, invece, anche in questa fase il barista era dentro uno stato di azione automatizzata generata dalla paura, non dalla rabbia. Uno stato dal quale inizia a uscire quando dice «mi hai rovinato la vita».
Finotti ha analizzato anche la posizione di Giuseppe Di Gaetano (difeso dagli avvocati Stefano Scafidi e Giulia Zerpelloni) e ha concluso che il suo agire fosse condizionato da uno stato di capacità di intendere e volere almeno parzialmente menomata dalla preoccupazione per il figlio, testimoniato da un agire considerato dallo psichiatra irrazionale perché inefficace rispetto allo scopo nonché fisicamente scoordinato. Sul punto, considerando le domande e le considerazioni della presidente dell’assise (la giudice Piera Tassoni) e dalla pm Barbara Cavallo, non sembra aver convinto.