Brando Quilici, natura da amare nel ricordo del padre Folco
Figlio del regista ferrarese, è a sua volta documentarista e autore di film di successo. «La difesa del mare la sua priorità. Ora lavoro a un documentario su Enzo Ferrari»
Ferrara Dici Quilici e inevitabilmente pensi alla storia di Ferrara, perché questo cognome è in pagine importanti della città, da Nello scrittore ai figli Folco e Vieri, il primo celebre documentarista e regista, il secondo architetto di fama che ha costruito mezza città. Il figlio di Folco è Brando, a sua volta regista e documentarista, che vive a Roma ma ha Ferrara nel cuore. Brando Quilici ha lavorato a speciali su reti americane, tra cui National Geographic Channel e Discovery Channel. È noto per due film di successo: nel 2013 con il produttore premio Oscar Jake Eberts ha prodotto e realizzato il film di avventura "Il mio amico Nanuk", ambientato tra i ghiacci dell’Artico canadese, diretto assieme a Roger Spottiswoode. Poi, nel 2022 ha prodotto, diretto e scritto il film "Il ragazzo e la tigre", girato fra Nepal e India e Claudia Gerini nel cast.
Non si non può non parlare di papà Folco: cosa ha lasciato di eredità artistica al figlio Brando?
«Innanzitutto di essere sempre modesti nell’osservazione dell’evoluzione del clima, non essere estremisti. Poi le ultime parole furono la grande battaglia per salvare le balene, il mare e la difesa del mare era una sua priorità, le plastiche stanno invadendo mari e fiumi. Ora che ci si fa più attenzione se ne rende più conto, anche a Roma finalmente vedo la gente che inizia a pensarci. Stiamo andando nella direzione giusta, un po’ del messaggio di papà e non solo. Più che ambientalista la sua passione era il rapporto tra l’uomo e il mare, ha sempre amato e ha sempre seguito, da quel primo viaggio in Polinesia negli anni ’50 per il primo film, affascinato dalle capacità subacquee di quegli uomini e sempre tenuto sotto controllo come avanzavano le evoluzioni delle persone che vivono sulle coste».
In settembre sarà a Comacchio per il premio Folco Quilici del Fedic: è importante non dimenticare i grandi protagonisti del cinema estense.
«Sono bravissimi a Ferrara nel ricordare papà e sarebbe bello un museo con le cose di Folco Quilici, abbiamo tantissimo materiale da poter offrire, non solo filmati e fotografie, ma oggetti, maschere prese in tutto il mondo. Oppure un museo con tutti i grandi personaggi del cinema».
Ferrara non è la città dove vive oggi, ma cosa rappresenta per lei?
«È la città dove mio padre mi ha sempre portato nei suoi viaggi, per farmi vedere dove ha vissuto e cresciuto. Era affezionatissimo al papà, direttore di giornale, quindi ha respirato l’aria della vita e degli interessi di un giornalista, lo hanno ispirato nel lavoro, lui si considerava giornalista e poi regista, prima preparava il testo e poi passava alla parte filmata. Ogni volta che c’è una scusa vengo, il Dna realmente esiste ed è fortissimo. Folco aveva Ferrara nel Dna e io quando arrivo lì e mi siedo davanti al Castello mi sento a casa, il tempo passa e non me ne accorgo. E mi piace vedere il Castello così ben tenuto e le luci notturne. Ferrara è un gioiellone non un gioiellino».
Il suo è un cinema dedicato all’amore per la natura e al messaggio di convivere con tutti gli animali.
«Non solo la natura, ma anche l’amicizia. Il messaggio dei miei film è di quanto devi fare per un amico in difficoltà, questi bambini che trovano questi animali trascurati fanno di tutto per aiutarli, a quella età sei pronto a tutto per fare del bene. Poi crescendo si perde un po’ di questa innocenza. Proprio in questi giorni su Sorrisi & Canzoni fra i dieci film per i messaggi di amicizia c’era "Io e la tigre" al secondo posto ed è bello che Mediaset e Medusa concentrino molti sforzi in questa direzione».
Il mio amico Nanuk e Il ragazzo e la tigre sono stati due film di notevole successo, ma quanta fatica sono costati in termini di scene e tempo?
«C’è tantissimo dell’esperienza nei documentari per anni di National Geographic, la vera difficoltà trovare l’animale giusto. Gli animali come noi hanno il carattere, serviva una tigre col carattere giusto e Dora era straordinaria. Ho avuto fortuna con gli animali, poi un operatore come Douglas George Allan (ha lavorato nei film del grande naturalista David Attenborugh), il maggiore esperto di film nell’Artico e Antartico, ma anche bravo con le tigri, a riprenderle in primo piano. E il direttore della fotografia era trentino con passione per la montagna e per le camminate, poi in Nepal e India era riesploso il Covid, ci siamo salvati a pelo prendendo l’ultimo volo, poi fu bloccato tre mesi l’accesso in Nepal».
Inevitabile chiedere i progetti a cui sta lavorando attualmente.
«Da due anni lavoro su un film-documentario storico su Enzo Ferrari. Ci saranno tante storie mai raccontate prima e tutto raccontato in prima persona da lui, recuperando tutti i suoi testi e con il permesso del figlio Piero Ferrari riusciremo a fare ricostruzioni anche inedite. Ci vorrà ancora un anno, ma viene benissimo».