Modena, i colleghi di Davide Moccia sconvolti: «Come un lutto in famiglia»
Policlinico sotto shock per la morte dello storico infermiere del Pronto soccorso in un incidente stradale a Sasso Marconi, a sole due settimane dalla scomparsa per malattia di Franco Tenace: «Due tragedie in pochi giorni»
MODENA. A sole due settimane dalla morte di Franco Tenace, a 54 anni, a causa di una malattia, un’altra tragedia devasta il personale del Pronto soccorso del Policlinico di Modena. È morto un altro infermiere storico della struttura, Davide Moccia, stavolta per un terribile incidente stradale a Sasso Marconi, nel raccordo tra l’autostrada A1 e la Porrettana.
Davide Moccia, 59 anni, ha speso tutta la sua vita al servizio dei malati del Policlinico, dove lavorava da trent’anni. È passato per diversi reparti e da anni ormai era una colonna del Pronto soccorso, per la sua esperienza. Nonostante lo stress dell’essere sempre in contatto con l’emergenza, non ha mai perso i suoi modi garbati e sempre professionali, che lo avevano reso un punto di riferimento, soprattutto per i più giovani.
LA CAPOSALA ORIANA PISANI
Quando ha saputo quello che era successo, nel cuore della notte, Oriana Pisani si è precipitata al Pronto soccorso del Policlinico. La caposala, coordinatrice del reparto, ha voluto essere vicina ai colleghi di fronte alla seconda tragedia tra il personale in due settimane. Ieri mattina erano ancora tutti sconvolti per l’accaduto, e increduli.
Pisani, qual è stata la reazione alla notizia?
«Ci sembra impossibile che sia successo. Davide lavorava al Policlinico da trent’anni, quando sono arrivata al Pronto soccorso lui era già in questo reparto. Una figura storica, espertissima, di riferimento. Due settimane fa Franco, adesso lui... È davvero difficile da accettare, io stanotte a mezzanotte appena ho saputo quello che era successo sono venuta qui per cercare di farci forza assieme. Perché la nostra alla fine è una grande famiglia. Ma è veramente difficile accettare una cosa del genere. Stamattina (ieri, ndr) abbiamo ricevuto tantissimi messaggi dai colleghi degli altri reparti: grazie di cuore a tutti, così come alla direzione assistenziale, quella generale e quella sanitaria, che ci sono state così vicine. Troveremo la forza di andare avanti, anche se non è facile. Dobbiamo farlo anche in nome e in memoria di queste persone che hanno lasciato una traccia importante tra noi».
Che tipo era Moccia?
«Un professionista serio e capace innanzitutto, che per la sua esperienza qui a volte veniva anche indicato con simpatia come “l’anziano”. Ma era anche il padre di due bambini che adorava. Un padre molto affezionato, a cui piaceva raccontare di loro, e delle emozioni che gli suscitavano. Era molto riflessivo, di non tante parole magari, ma estremamente sincere. Di quelle persone che lasciano un segno».
Erano diversi, lui e Tenace?
«Nel carattere sì, Davide più taciturno e Franco più espansivo, profili diversi per quanto venissero entrambi dalle stesse zone della Puglia. Ma li accomunava una grande sensibilità, competenza e capacità di attenzione al prossimo. Con loro abbiamo perso, in pochi giorni, figure che hanno fatto la storia di questo reparto, e non è un modo di dire. Ci mancheranno tremendamente entrambi. Si fa fatica a sopportare questa cosa».
Come sarà il Pronto soccorso senza di loro?
«Non credo che possa essere veramente senza di loro. Ci sono dei momenti durante la giornata in cui ho come la sensazione di avere ancora Franco alle mie spalle che sta facendo qualcosa. Credo che sia così per tanti. Adesso lo sarà anche con Davide».
L'INFERMIERA MELANIA
«L’ho visto mercoledì sera alle 20: ci siamo incontrati mentre io finivo il turno e lui iniziava il suo. Non avrei mai immaginato che quella sarebbe stata l’ultima volta che ci salutavamo. Chi poteva pensarlo? È incredibile quello che è successo».
È la voce di Melania, infermiera che lavora al Pronto soccorso del Policlinico che si è trovata in questi giorni a vivere da vicino la doppia tragedia. Franco Tenace, l’infermiere morto due settimane fa a 54 anni per malattia, era infatti suo zio. Neanche il tempo di iniziare a metabolizzare quel lutto, che adesso è arrivato quello di Davide Moccia. «L’ho visto mercoledì gentile e sorridente come sempre – racconta – mi ha chiesto come era andata la giornata e se c’erano stati tanti pazienti. Le cose di sempre, chi poteva pensare che sarebbe stato il mio ultimo ricordo di lui?».
«Siamo tutti devastati da quello che è successo, e increduli – sottolinea – perché Davide era un punto di riferimento. Così come lo era mio zio, con la sua esperienza: è scioccante perdere due persone così in pochi giorni. Io lavoro lì da poco, ma mi ero subito trovata benissimo con Davide. Una persona un po’ riservata se vogliamo, ma di grande esperienza e competenza, e sul lavoro di vedeva subito. C’era da imparare da lui, e lui era sempre disponibile se c’era bisogno di qualcosa. In una vita di lavoro in ospedale aveva visto casi di tutti i tipi, e sapeva affrontare bene qualunque situazione, anche le più complesse. È una cosa strana: tutti i giorni in Pronto soccorso ci troviamo a che fare con delle emergenze, dei casi gravi. Ma non pensi che possano accadere a te o ai tuoi colleghi. E invece può succedere eccome, come la dolorosa cronaca di questi giorni ci mostra. Quando è arrivata di notte la chiamata della compagna di Davide in triage, per comunicarci dell’incidente, non sembrava vero. E quando dal Maggiore ci hanno detto che non ce l’aveva fatta, eravamo ancora più increduli. Ma era la drammatica realtà».
I MESSAGGI DI COLLEGHI E PAZIENTI
Tanti i messaggi e i ricordi pieni di affetto di chi ha conosciuto Moccia, sia come collega che come paziente. E sono tutti unanimi nel descrivere una persona speciale, in un compito speciale per la sua delicatezza. «Io l’ho incontrato due volte in Pronto soccorso quando sono andata per degli infortuni – racconta Elena Biolchini di Castelnuovo, già campionessa mondiale di bowling – mi è rimasto impresso come un bravissimo ragazzo, molto disponibile e gentile. Non era di tante parole magari, ma sensibile e attento. E faceva tutto il possibile per farti stare meglio».
«Un grande professionista, una persona molto buona e sempre, sempre, sempre disponibile verso i colleghi – testimonia un altro infermiere – se avevi un problema e ti serviva un cambio turno, lui si faceva avanti subito. In tanti anni di lavoro, non l’ho mai sentito dire un no».
«Ho conosciuto Davide all'inizio degli anni ’90 nella neonata centrale operativa 118 – racconta Stefano Giacomazzi, ora infermiere libero professionista a Bologna – persona di poche parole, ma collega su cui potevi contare. Credeva nel suo lavoro. Spesso faceva visita di cortesia alla mamma di un nostro comune amico morto in giovane età per un male incurabile. Ecco chi era Davide, discreto e silenzioso, ma di gran cuore».