Baby gang, il capo della polizia: «Coltelli e taser, primi episodi anche a 14 anni»
Mario Paternoster, dirigente della squadra mobile della Questura di Modena, analizza i fenomeni di delinquenza giovanile: «I disagi iniziano dal contesto familiare. Dobbiamo tutti “fare rete”»
MODENA. Baby gang che ormai da troppo tempo imperversano anche nel nostro territorio, con ragazzini aggrediti, talvolta pestati in maniera selvaggia, oppure rapinati sotto la minaccia di un coltello, e famiglie costrette a vivere nell’ansia. Sì, quella comprensibile paura che qualcosa possa andare storto ai propri figli, magari all’uscita da scuola mentre attendono la corriera, oppure di sera durante una semplice passeggiata in centro storico, dopo una pizza o una birra in compagnia. E lo sanno bene le forze dell’ordine, costantemente impegnate in prima linea, sia in fase preventiva che in chiave repressiva, come confermato da Mario Paternoster, dirigente della Squadra Mobile della polizia di Stato di Modena, e da anni a capo di numerose indagini, anche particolarmente complesse: «Lavoriamo costantemente, insieme anche alle altre forze di polizia, su questo fenomeno, su questi episodi che si stanno sistematicamente ripetendo con le stesse modalità. La situazione per quanto grave sia è giusto che meriti la massima attenzione».
Da chi sono formate queste bande? E si tratta di gruppi che hanno una struttura, un’organizzazione o i colpi e le aggressioni nascono diciamo casualmente?
«Non abbiamo registrato negli anni la presenza di strutture organizzate. Si tratta di gruppi formati spesso da 5, 6 persone, in alcuni casi anche gruppi più numerosi. Nel gruppo le persone si conoscono, ma l’evento è occasionale, non si parte da una programmazione. Questi gruppi sono composti da ragazzi tra i 14 e i 17 anni, generalmente sono stranieri o di seconda generazione, ma abbiamo registrato anche la presenza di ragazzi italiani che non rientrano, diciamo, nelle prime due categorie».
È di questi giorni la notizia della possibile istituzione delle zone rosse nelle zone calde della nostra città. E’ questa la direzione di marcia?
«Sì, gli eventi si sono verificati in aree a forte densità di minori come stazione delle autocorriere, intorno ai poli scolastici o in alcuni parchi: tutti luoghi che abbiamo individuato dove sicuramente sarà necessaria una maggiore attenzione e presenza di forze di polizia, anche a seguito di quanto deciso nei comitati che si tengono in Prefettura, soprattutto negli orari più delicati, con pattuglie e presenze fisse che garantiscano più sicurezza, con interventi non solo in termini di deterrenza, ma che siano immediati, pronti, reattivi, affinché i ragazzi abbiano un presidio immediato a cui rivolgersi».
Nei giorni scorsi avete arrestato alcuni ragazzi e nei profili social del nostro giornale sotto alla notizia sono apparse decine e decine di messaggi, di sfottò, risate, frasi del tipo “tanto siamo liberi subito”, “hanno preso quelli sbagliati”, “pagliacci”. Ecco, vien da pensare che alla base di questi commenti, ci sia una sorta di certezza dell’impunità, dichiarata con serena strafottenza, peraltro da fonti aperte quali appunto le piattaforme on-line: cosa ne pensa?
«In effetti anche lo strumento dei social è un mondo dove queste persone si sentono sicure di irridere, sbeffeggiare, posso però dire che quando si entra nel mondo reale e si ha a che fare con queste persone, questa strafottenza, questo modo di apparire svanisce. Come si dice in questi casi, dietro una tastiera sono leoni, poi…».
Quando finiscono in ufficio da voi i “leoni” diventano “cuccioli”?
«Esatto. Poi, ovviamente, il fatto di essere minorenni fa passare tra di loro il messaggio di essere, lo dico tra virgolette, trattati diversamente. Per i minorenni la normativa è sì differente, favorevole, ma questo non esclude il fatto che nei loro confronti possano essere adottati provvedimenti anche restrittivi, severi, come è giusto che sia».
A proposito di social, non solo commenti diciamo parecchio “borderline”, ma anche immagini di aggressioni, coltelli e taser (arma a impulsi elettrici, ndr) sfoggiati come trofei. A conferma di tutto ciò, anche i dati dell’anno giudiziario diramati di recente dalla Procura di Modena dai quali emerge un aumento dei reati predatori e delle rapine, appunto, con coltello.
«Sì, è assolutamente vero, è un dato oggettivo che riscontriamo in tutti gli episodi che andiamo a trattare, ragazzi che utilizzano nella maggior parte dei casi coltelli, e ora anche i taser. Magari non li utilizzano, ma li mostrano per intimidire le vittime dei reati. Un fenomeno, un problema trasversale che sta toccando non solo Modena ma tutto il territorio nazionale. Come ho avuto modo di sottolineare più volte, non c’è una finalità strutturata, vogliono fare un gesto di sopraffazione, magari per pochi euro, delle cuffiette o una sigaretta, commettendo così atti non solo gravi, ma anche molto pericolosi. La nostra attenzione deve rimanere alta, non ci possiamo permettere di sottovalutare nessun gesto. È poi importante la compartecipazione, saper far rete tra tutte le figure che intervengono. Mi rivolgo soprattutto ai genitori chiedendo di venire a denunciare gli episodi: noi poi rimaniamo in contatto anche dopo gli accertamenti e le indagini, in una sorta di fidelizzazione tra ragazzi e forze di polizia, per farli sentire più sicuri».
Le famiglie, invece, dei ragazzi che fermate come reagiscono? Si rendono conto della portata della situazione?
«La maggior parte delle famiglie di questi ragazzi appartengono a contesti problematici, di disagio: molto spesso sono a conoscenza delle problematiche che vengono generate dai loro figli; altrettanto spesso, però, questi genitori hanno problematiche sociali e incapacità nel gestire il contesto famigliare. Quindi a maggior ragione il poter fare rete è importante. Noi siamo la parte quasi terminale di questo “processo”, ma prima c’è la famiglia, la scuola, gli educatori. È chiaro che se questi ragazzi non riconoscono la figura genitoriale, la figura scolastica, di riflesso non riconoscono nemmeno le altre figure istituzionali come le forze di polizia. Assumono quindi sì dei comportamenti di “sfida”, di non rispetto, ma poi nella parte finale, quando arriva il provvedimento, il risultato si nota, questo atteggiamento non si verifica più come all’inizio».
Considerata la preoccupazione diffusa, c’è il rischio di reazioni “fai da te”?
«Molto spesso quando parliamo con i genitori e con i ragazzi emerge questo malessere, e li capiamo. Noi ovviamente sconsigliamo reazioni di questo tipo, noi invitiamo ad evitare qualsiasi comportamento che non porta a nulla, perché la violenza porta ad altra violenza».
Per chiudere, da uomo delle Istituzioni, da uomo di Legge ma anche da padre, cosa si sente di dire alla cittadinanza, ai ragazzi e alle loro famiglie che continuano ad avere questa comprensibile preoccupazione?
«Denunciate sempre, perché questo ci permette di avere gli strumenti normativi per affrontare il problema. Ai ragazzi, in particolare, dico di non vergognarsi di ciò che può essere accaduto, è importante denunciare e parlarne subito ai genitori, e non cadere nelle provocazioni: se ci sono persone o gruppi che arrecano anche un semplice disturbo, chiamateci, segnalate subito perché spesso dal disturbo, dalla provocazione poi si degenera. Questa per noi è collaborazione preventiva ed è fondamentale. Noi ci siamo e ci saremo sempre».
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