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Il basket è una questione Cortese

di Marco Nagliati
Il basket è una questione Cortese

Ecco papà Claudio, ex centese: il figlio Riccardo gioca a Ferrara e la figlia ha sposato Delfino

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 In principio fu Claudio. Gli anni ruggenti del basket in oratorio, in palestrine che mostravano pochi lustrini e richiedevano nervi d’acciaio per uscirne vincenti. Anni Settanta, Claudio Cortese decide che questa “palla a canestro” fa per lui. I primi cesti gli vengono proprio bene nella parrocchia di Cento. Passa un paio di mesi a Varese, poi Fortitudo con cui compie la trafila delle giovanili. Da senior va a Rimini, serie B. Quella cadetteria tosta e competitiva, l’anticamera della serie A. Sostanza e scarni fronzoli. In Romagna rimane cinque anni, gioca con colui che diventerà un idolo della Mangiaebevi Ferrara (Daniele Albertazzi). Cortese in seguito passa a Roseto, Osimo e infine torna a casa. Veste il biancorosso della Benedetto XIV in serie C, viene messo sul piedistallo dalla Fossa. Tanto che tuttora, dietro la curva, c’è appesa una sua gigantografia. Poi venne Riccardo. Carriera di spessore: giovanili Fortitudo, quindi il volo da professionista: Avellino, Veroli, Pistoia, Verona. E adesso Ferrara. Infine, ecco Martina: sposata a Carlos Delfino, argentino pluridecorato. Per l’ala dapprima Reggio Calabria e Fortitiudo, poi tanta Nba (Detroit, Toronto, Milwaukee, Houston). Claudio (ora 62enne impiegato in banca a San Pietro in Casale), Riccardo, Martina: la famiglia Cortese e il basket sono molto ben imparentati.

Papà Claudio, tutto è iniziato da lei...

«Già, anni frizzanti quando giocavo. Importanti. Belli».

A Cento lei è un personaggio.

«Mannò, cose da paese. Non voglio dargli troppa importanza. Poi, il mio tempo è passato: adesso faccio lo spettatore».

E segue suo figlio Riccardo.

«Ha sempre avuto la passione per il basket. Quando stavo finendo la carriera a Cento, lui veniva in palestra con me. Portava il pallone da casa e giocava a bordo campo».

Pensava sarebbe diventato giocatore da serie A?

«Ho sempre avuto fiducia nel suo talento. Ha avuto doti fisiche e tecniche, ma le ha allenate. In lui ho sempre visto costanza nel lavoro in palestra. Quando era alla Fortitudo faceva avanti-indietro con Cento: mai si è lamentato dei disagi».

Come lo segue, adesso?

«In silenzio. Dietro le quinte. Nel dopo partita non dico nulla, perché so che raramente c’è la serenità per parlare di un match appena terminato. Poi adesso Riccardo è grande, sa fare bene da sé».

Qualche mese fa la chiamata della Bondi...

«Io sono stato contento, così è vicino a casa. Scherzi a parte: dalla prima telefonata di Trullo ho visto Riccardo contento, convinto. Entusiasta dell’opportunità. Il progetto lo ha affascinato».

Si dice: in A Riccardo faceva lo specialista da fuori, in A2 in attacco deve tornare giocatore all around.

«Verissimo. Sicuramente la massima serie è un’altra realtà: più stranieri, altro gioco, rotazioni corte... In A2 ci sono spazi maggiori e Riccardo può dire la sua».

Da ex centese, come giudica la nuova Baltur?

«È stata allestita una squadra di categoria, con giocatori esperti che possono fare la differenza. A Cento la passione c’è sempre stata, la città vibra per la Benedetto XIV».

Si chiede la promozione.

«Intanto con l’arrivo del ds Pulidori la società s’è data una struttura più professionale. E coach Giordani è molto bravo. In questi anni ho visto tante partite al palazzetto, credo che stavolta si possa ambire a qualcosa di grande. Però, attenzione: il girone è duro».

Beh, in A2 nel suo raggruppamento la Bondi non avrà meno spine.

«Il girone Est è effettivamente incredibile: tanti derby, un sacco di club blasonati. Dagli spalti mi divertirò a seguirlo».

Sperando che la Fortitudo non ingaggi suo genero Delfino...

«Per ora Carlos e mia figlia Martina sono in Argentina con i gemellini di quattro anni. Attende offerte. Non so cosa possa esserci di vero con la Fortitudo, nel caso gliel’ho già detto: firma il lunedì dopo la partita con la Bondi».

Stanno tornando in Italia?

«Dipende dalle proposte che gli arriveranno. Dopo un’odissea durata tre anni e con sette operazioni, le Olimpiadi hanno fatto tornare giocatore Carlos. Lui è molto amico di Ibarra, l’anno scorso Carlos e mia figlia sono stati sempre a Cento. Per me fare il nonno è stato il massimo».

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