La Nuova Ferrara

Sport

La storia

Maratona di New York, nel 1984 l’impresa del “ferrarese” Pizzolato

Marco Nagliati
Maratona di New York, nel 1984 l’impresa del “ferrarese” Pizzolato

Fu il primo italiano a vincere la celebre gara, i ricordi: «Avevo il pettorale 100, si erano persi la mia iscrizione. Un successo inatteso»

4 MINUTI DI LETTURA





Ferrara “Pizzo what?” Cosa? Chi? «Il primo pensiero? Mi è venuto da ridere. Anche perché alla vigilia la mia iscrizione alla corsa era stata pure persa. Alla fine ottengo il pettorale numero 100». Orlando Pizzolato, vicentino di Thiene classe ’58 e superbo alfiere della scuola di maratona ferrarese, il 28 ottobre 1984 timbra un’avventura che spicca nel Pantheon delle imprese sportive: vince la famosa e immaginifica Maratona di New York. Era la 15ª edizione. Primo italiano a tagliare il traguardo da leader. Orlando si direbbe un carneade, se proiettiamo la sua figura al palcoscenico massimo; un underdog, declinano negli States. Ossia uno che sbuca dal nulla e dà corpo a una favola. Pizzolato era ovviamente conosciuto nel panorama dell’atletica, ma entro confini nazionali: talento plasmato a Ferrara con tanti sodali. Da Lenzi a Magnani, da Pambianchi a Molinari, da Bettiol alla Fogli. Vive in città. Studia in città. Si allena in città, al campo scuola. E va ad annusare la “Grande Mela”. S’impone sull’inglese David Murphy e guadagna fama, riflettori ed eternità sportiva. L’indomani molti giornali statunitensi si chiedono chi sia questo maratoneta lungo (1 metro e 79) e filiforme (61 kg), cadenza veneta e inglese appena masticato («The pen is on the table» come confida lui stesso sul suo Correre Magazine). Il New York Times titola, appunto: “Pizzo cosa?”

Oggi sono quarant’anni giusti da quell’impasto di emozione, fatica e coraggio. Incredulità e passione. Ah, l’anno dopo “Pizzo” rivinse New York col pettorale numero 1. Intanto nell’84 cancella un tabù (si diceva: mai nessun azzurro aveva morso la mela newyorchese, tanto che le scarpe sono state donate al museo della Federazione internazionale). Orlando la sa raccontare da vero affabulatore questa scalata nell’empireo, nata in una domenica inaspettatamente calda e umida: «Nella mia testa predominava un solo pensiero: finire la gara, magari chiudere nei primi dieci. Corro la “mia” maratona, nel senso che non guardo al cronometro e ascolto soltanto le sensazioni».

Braccia alzate a Central Park in 2h14’53”, davanti al britannico Murphy (2h15’36”) e al tedesco Herbert Steffny (2h16’22”). Dunque, Orlando macina asfalto e quasi entra in una bolla: ci sono da attraversare i cinque distretti di New York e non farsi sfibrare dal clima. Staten Island, Brooklyn, Queens, Bronx e Manhattan... «Mi metto dietro – racconta Orlando –, però, mentre andavo, noto che i primi non erano molto lontani da me. Insomma, accelero ed entro nel gruppo dei favoriti: soffrivano l’umidità. Io? Nemmeno me ne rendevo conto: non ragionavo, l’adrenalina era in crescendo. Non sentivo la fatica».

Tutto istinto, strizza l’occhiolino “Pizzo”. Dai Orlando, poi? «Le gambe girano bene... Beh, mi trovo primo senza rendermene davvero conto. Mentre mi ascoltavo stavo da Dio».

Per salire l’Olimpo c’è sempre un prezzo da pagare. Il “ferrarese” Orlando sudato e disidratato non è da meno: «Sì, il caldo si faceva sentire e dovevo iniziare a gestire. A 10 chilometri dal traguardo avevo 1’10” di vantaggio. Tantissimo. Mi dico: adesso devi arrivare in fondo».

Epperò crisi di fatica, crampi. Pareva la parabola di Dorando Pietri, vacillante trionfatore all’arrivo nella maratona olimpica di Londra del 1908 e squalificato. Pizzolato, invece, mette in pratica un mantra mentale rispolverato da Julio Velasco (allenatore dell’Italvolley femminile oro ai recenti Giochi di Parigi): quello del “qui e ora”. L’hic et nunc di Orlando è «arrivare a un punto di ristoro alla volta, questione di concentrazione. “Tieni duro fino a lì”, mi ripetevo. E riprendevo a correre: obiettivo il successivo ristoro. Non mollo, ma al 39º chilometro il secondo si avvicina: prima avevo paura di perdere, ora devo vincere perché manca così poco. Non mi giro più indietro: non voglio vedere i predatori. Immersione nella psicologia».

“Pizzo” barcolla ma non molla, valica le Colonne d’Ercole, vince: «Ho fatto il mio calvario – esclama di getto –, dimenticando la fatica. Terminata la gara bacio la strada e subito penso: “Adesso come faccio a dirlo a casa?”. Questo evento ti travolge». Ieri Orlando ha commentato per la Rai la maratona di Venezia. Domenica prossima appuntamento numero 53 con la New Yok City Marathon: “Pizzo” ci sarà («parto mercoledì»). Sorridendo: adesso gli yankee lo sanno chi è. «Tutta questa attenzione mi fa piacere: sembra un’altra vita». l