La Nuova Ferrara

Il ritratto

Antonioni, il giovane favoloso. Un ragioniere divenuto regista

Maria Sofia Gallotta
Antonioni, il giovane favoloso. Un ragioniere divenuto regista

Il diploma al “Monti” e la laurea in Economia, poi il cinema

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Ferrara Fra i tanti studenti che si sono diplomati all’Istituto “Vincenzo Monti” ben pochi, probabilmente, sanno di aver avuto un illustre predecessore, destinato ad eccellere nell’arte cinematografica: Michelangelo Antonioni.

Nato in una famiglia della buona borghesia ferrarese il 29 settembre 1912, il giovane Michelangelo – da tutti conosciuto come Nino – venne iscritto al Regio Liceo-Ginnasio “Ludovico Ariosto”, scuola di élite della Ferrara di allora.

Ma dopo due anni di ginnasio, per motivi mai del tutto chiariti (pare incomprensioni con il preside), il giovane Nino transitò al “Monti”, scuola destinata alla formazione dei futuri ragionieri, stranamente intitolata a un letterato. Conseguito il diploma, si pose il problema del proseguimento degli studi, che però non dava adito a molte opzioni. Secondo la normativa dell’epoca con un diploma da ragioniere ci si poteva iscrivere soltanto alla Facoltà di Economia e Commercio.

E così il nostro Nino, forse anche su pressione del padre (Ismaele Carlo) che girava l’Italia e l’Europa come rappresentante di commercio, si iscrisse all’unica facoltà consentita nella vicina Bologna, anche se prediligeva seguire gli insegnamenti della facoltà di Lettere.

E a Ferrara come se la passava il futuro regista? Per svagarsi giocava sui campi del Tennis Club Marfisa, incrociando la racchetta con i rampolli della buona borghesia ferrarese. Memorabili le partite che vedevano come suo avversario Giorgio Bassani. Come ha ricordato Gaetano Tumiati, sovente accadeva che altri giocatori interrompessero le loro partite per assistere agli scontri fra le due future celebrità.

Tennis a parte, l’impegno che più assorbiva il giovane Antonioni all’ombra del Castello Estense era la passione per il cinema, che lo vide protagonista, dal 1936 al 1940, come critico cinematografico del Corriere Padano, fondato nel 1925 da Italo Balbo. Sul finire di quell’anno Balbo chiamò alla direzione un grande giornalista, Nello Quilici, che condivise da allora in poi l’avventura umana e politica del futuro governatore della Libia, fino a morire con lui nel cielo di Tobruk il 28 giugno 1940. Con Nello Quilici il giornale di Balbo conquistò una notorietà di livello nazionale raggiungendo la ragguardevole tiratura di 40.000 copie nel 1931.

Il quotidiano vantava inoltre quattro redazioni (Faenza, Forlì, Ravenna, Verona), quattro uffici distaccati (Rovigo, Padova, Bologna, Rimini) e una sede nell’Urbe, per usare terminologia dell’epoca. La terza pagina, era una delle più “spazzolate” d’Italia. Vi scrissero, fra i tanti, Comisso, Antonio Baldini, Ungaretti, De Pisis, Govoni, Titta Rosa, Di Giacomo, Tozzi, Vittorini, Quasimodo, Cardarelli, Flora, Ferrata, Arrigo Benedetti, Soldati, Bertolucci, Brancati, Montale, Savinio, Moretti, Piovene, Luchino Visconti, Bontempelli e Bigiaretti.

Essere quindi il critico cinematografico del quotidiano fondato da Balbo, significava uscire dai ristretti limiti della provincia ed avere una firma di prestigio crescente. Ciò contribuì ad aumentare non poco la fama del giovane Antonioni, ammirato anche da molte ragazze della “Ferrara bene”.

Ma a Bologna come andavano gli studi? Illuminante l’esposizione, al cinema Lumière di Bologna, nel 2012 (in occasione del centenario della nascita) dei cimeli universitari di Antonioni, custoditi dall’Archivio storico dell’Università di Bologna: la tesi finale, il libretto universitario e altre testimonianze del non lineare percorso universitario di Antonioni. Conseguì infatti la laurea in Economia e Commercio nel 1938, con un anno di ritardo a causa della partecipazione ai Littoriali dell’Arte e della Cultura del 1935 e del 1937, edizione nella quale Antonioni vinse il primo premio. In un’intervista a Aldo Tassone, per il libro “I film di Michelangelo Antonioni. Un poeta della visione”, il cineasta così si espresse: «Il complesso di non aver fatto gli studi classici mi rimarrà sempre un po’. Mi piaceva molto scrivere, ma non mi ritenevo abbastanza colto: pensavo che per scrivere ci volesse una gran cultura”.

Come osservò Gian Paolo Brizzi, il materiale conservato pare suggerire che il futuro regista non fosse particolarmente attratto dalle materie economiche: il libretto non proprio brillante, il voto finale (95 su 110) e la frequentazione dei corsi inducono a pensare che i temi propri del corso di laurea cui era iscritto non suscitassero in lui particolari emozioni. Fino all’ultimo, Antonioni cercò di contemperare le aspirazioni artistiche con gli studi economici, dedicando una delle due tesine orali al mondo cinematografico. La stessa tesi scritta si ricollega alle lezioni seguite presso la Facoltà di Lettere, in un modo certamente originale, avendo singolarmente come oggetto “I problemi di politica economica ne I Promessi Sposi”.

Rifiutato un impiego in banca nel 1940, Antonioni decise poi di spiccare il volo verso Roma, iniziando un cammino ben noto alle cronache e alla storia del cinema. Ma la sua passione per le discipline umanistiche ottenne il meritato alloro nel 1993, quando ricevette la laurea honoris causa in Lettere “per i suoi alti meriti culturali” da Giorgio Tecce, rettore dell’Università “La Sapienza” di Roma. Antonioni, con gli occhi pieni di lacrime, riuscì a dire soltanto: “Grazie, è bellissimo”. Tre semplici parole con cui il maestro dell’incomunicabilità riuscì efficacemente a trasmettere la sua gioia per aver coronato un percorso che si era interrotto a Ferrara ai tempi del ginnasio, in via Borgoleoni, e che finalmente, dopo tanti anni, sigillava un’aspirazione coltivata per tutta la vita.