La Nuova Ferrara

La tradizione

Il maestro Antonio Pigozzi e l’arte dei presepi

Adriano Arati
Il maestro Antonio Pigozzi e l’arte dei presepi

Villa Minozzo: l’esperto spiega la passione di creare sempre scene nuove della Natività

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Villa Minozzo Un’eccellenza internazionale con il cuore nell’alta valle del Dolo. Antonio Pigozzi, originario di Gazzano di Villa Minozzo dove ha realizzato un’esposizione permanente, è uno dei più noti e validi presepisti a livello mondiale, ultimo rappresentante di una tradizione che nell’Appennino emiliano ha radici antiche.

Anche in questo Natale ha aperto le porte del suo spazio a Gazzano a una mostra rinnovata in cui le sue opere si uniscono a quelle di uno dei suoi allievi più validi, Nicolò Celegato. Già, perché Pigozzi, oltre che artista, è pure un maestro ricercato e contattato dalle nuove generazioni di operatori della materia.

«Già da diversi anni espongo anche opere di altri presepisti, a volte do spazio a altri presepi, per variare altro l’esposizione e quindi tenere alto l’interesse della gente, e perché si parla di artisti che meritano, racconta. Questa volta è il turno di Nicolò Celegato».

Ce ne parla?

«È il mio allievo più bravo in assoluto, ha 34 anni e già da una decina di anni si occupa di presepi a alto livello. È diventato uno dei migliori in Italia, per me è un onore avere una sua opera qui a Gazzano».

È un rapporto così forte?

«Ci sono collaborazione e amicizia, spesso andiamo insieme all’estero, abbiamo lavorato insieme con diverse realtà in Germania e in Austria e abbiamo preso parte insieme a una grande esposizione a Malta».

Oltre a Celegato, nel museo del presepe di Gazzano cosa troveremo, per queste feste?

«L’impianto è quello consolidato con le mie opere. Ci sono dodici scene al piano inferiore, due grandi scenografie al piano superiore più altre stanze di dimensione inferiore».

L’ossatura è quella storica?

«Sì, ogni anno cerco di cambiare qualcosa, per modificare un poco. Non si può fare un rinnovamento totale, ci vorrebbe il lavoro di un anno intero per cambiare tutto l’impianto. Mi sono però dato l’obiettivo di inserire almeno due scene nuove in ogni annata».

Di cosa parlano, questi innesti?

«Ci sono la natività e l’annuncio ai pastori di Celegato e c’è un’altra scena mia, “Verso la grotta”, con il cammino dei Re Magi dal castello di Erode alla grotta della natività».

Lei è un nome internazionale. E lo è diventato partendo da autodidatta. Si aspettava un percorso simile?

«Certamente no, a me interessava solo seguire una passione che avevo sin da piccolino. E da giovane ho avuto la fortuna di vedere esposizioni incantevoli che mi hanno ispirato».

Quali sono?

«Una alla fine degli anni ’60 nelle sagrestie del duomo di Reggio Emilia, dedicata ai bellissimi presepi di Giancarlo Beltrami».

La seconda?

«Un presepe monumentale, quello della Madonnetta, a Genova».

A Genova?

«Per motivi di parentela ero spesso nella città ligure e ho visto questo straordinario presepe monumentale, con eccezionali scenografie abbellite da un famoso scultore del ‘700, Anton Maria Maragliano».

Sono state le scintille?

«Sì, da lì è scattata la molla di voler conoscere la tecnica. Ho avuto la fortuna di conoscere un professore reggiano esperto della tecnica catalana, e noi in queste zone siamo figli della tradizione catalana. Lui mi ha fatto scoprire l’associazione Amici del Presepio a Roma, mi sono iscritto negli anni ’80 e ho iniziato a studiare i manuali di tecnica».

E oggi è lei stesso un classico. Come si vede oggi?

«Per me la presepistica è un’arte, la mia visione è questa, anche se so benissimo che ci si può approcciare al presepe con diverse motivazioni. Per la fede, per il legame con la tradizione, e sono tutti intenti nobilissimi».

Per lei è l’arte il cuore?

«Sì. L’aspetto artistico comporta conoscenze tecniche di pittura, di prospettiva, di luminotecnica. Sono competenze diverse, pensiamo alle statuine: non solo quelle da 5 euro comprate su internet, ma sono create da scultori».

È difficile portare avanti questa visione?

«È un obiettivo quasi irrealizzabile. Il presepe viene visto come una tradizione per bambini, lo spirito artistico è secondario e mi dispiace perché così, a volte, si rimane a un interesse banale. Fa piacere che le persone vengano a vedere i presepi, è ancora più bello quando capiscono cosa c’è dietro».

Non appare ottimista, no? «Sono disincantato sul panorama italiano. In altri paesi, come Austria e Germania, c’è più attenzione a queste situazioni. In Italia non è proprio così, forse abbiamo così tante bellezze che anche i presepi artistici vengono snobbati».

È tutto nero?

«No, è una constatazione realistica. Ma è anche un auspicio che le cose possano cambiare. Il fatto che tanta gente venga sino a Gazzano, non un posto semplice da raggiungere, mi rende comunque fiducioso».